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L’Ucraina non è l’Iraq – 2ª parte

Carlo Andrea Mercuri

A oltre vent’anni dalla guerra che sconvolse l’Iraq è possibile fare un parallelismo tra il conflitto mediorientale e l’Operazione Militare speciale tutt’ora in svolgimento in Ucraina?

Nella prima parte dello speciale dedicato al confronto sui due conflitti, sono state analizzate le analogie afferenti alla guerra in corso in Ucraina e alla campagna d’Iraq del 2003. In questa seconda parte invece ci si focalizzerà sulle differenze tra le due campagne militari e le loro conseguenze.

DIFFERENZE

Campagna militare: Per quanto concerne le analogie, il primo elemento preso in esame è stata la comunanza di pretestuosità nei rispettivi casus belli. Se però i pretesti fittizi addotti da Washington e Mosca possono essere annoverati come affini, lo stesso non può dirsi delle rispettive campagne militari.

Nella guerra d’Iraq la soverchiante macchina bellica a trazione statunitense ci mise solo 42 giorni per avere la meglio sulle rimaneggiate forze armate irachene. L’invasione iniziò il 20 marzo e sull’Iraq furono scaricati oltre 50.000 ordigni dal cielo, tra bombe e missili da crociera. La campagna di bombardamenti aerei fu accompagnata quasi in contemporanea dal dispiegamento di truppe terrestri. Le forze in campo mostrarono da subito una disparità tale da non lasciare dubbi circa l’esito dei combattimenti: le forze armate irachene, piagate da un decennio di embargo dovute ai postumi della Guerra del Golfo del 1991, implosero rapidamente, martellate dai bombardamenti aerei e fiaccate dalle molteplici diserzioni.  
Il 9 aprile cadeva la capitale Baghdad e il 15 dello stesso mese veniva piegata anche l’ultima sacca di resistenza a Tikrit. Il 1° maggio successivo un trionfante Presidente Bush annunciava la fine delle operazioni militari e il Mission Accomplished. A una campagna militare fulminea sarebbe succeduta una lunga occupazione del paese, perdurata fino al 2011 e caratterizzata da violenti scontri tra le forze di occupazione e la guerriglia indigena. In quegli anni di dominazione, le febbrili ricerche non produssero prova alcuna né del possesso di armi di distruzione di massa né tantomeno dei millantati contatti tra il regime di Saddam e Al-Qaeda.
L’Operazione Militare Speciale iniziata il 24 febbraio 2022 con l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe, presenta caratteristiche dissimili rispetto alla guerra d’Iraq. Sin dalle prime fasi del conflitto, tutt’ora in corso, le operazioni belliche si sono svolte non senza difficoltà per l’esercito invasore. Complici di questa debacle due fattori (tra essi interconnessi): il numero relativamente esiguo di forze dispiegate (circa 175.000 uomini inizialmente schierati su un territorio vasto il doppio dell’Italia con quaranta milioni di abitanti) e la falsa credenza che la popolazione ucraina, poiché in parte russofona, avrebbe accolto l’esercito russo come liberatore dal regime di Kiev. La fallimentare presa della capitale (con conseguente mancanza di decapitazione del governo del Presidente Zelensky), la fiera resistenza ucraina supportata abbondantemente dal blocco Occidentale e gli errori tattici degli alti comandi russi, hanno procrastinato la campagna militare, trasformando la stessa in una guerra d’attrito ancora in svolgimento. A prescindere dall’esito del conflitto, è evidente la differenza tra lo svolgimento delle due campagne belliche.


Reazioni della comunità internazionale: altra macro-differenza facilmente riscontrabile è quella relativa alle reazioni della comunità internazionale e alle conseguenze sul piano geopolitico.       
Il conflitto combattuto in Medio Oriente si è consumato in un momento particolare del contesto geopolitico internazionale. L’hybris* americana scatenata dal momento unipolare di cui gli Stati Uniti stavano beneficiando in quegli anni, consentì a Washington di agire praticamente indisturbata. La destabilizzazione di un paese strategicamente rilevante come l’Iraq avvenne pressocché nel silenzio della comunità internazionale. Certo non mancarono voci dissonanti, anche nello stesso blocco occidentale. Il siparietto del Segretario di Stato americano Powell all’ONU, sventolante la boccetta d’antrace che avrebbe giustificato la validità delle accuse statunitensi, non smosse le delegazioni di buona parte dei membri onussiani**, compresi alleati storici come Francia e Germania. Una Russia ancora in cerca di identità, divisa tra storica diffidenza di sovietico retaggio e voglia di abbracciare il mondo occidentale e una Cina agli albori della sua potenza, non poterono fare altro che opporsi verbalmente all’invasione senza tuttavia prendere azioni concrete. Invero la Repubblica Popolare Cinese finanziò indirettamente lo sforzo bellico statunitense con il massiccio acquisto di Bond USA. Tuttavia, la non reazione di Mosca e Pechino ha aiutato le due cancellerie a muoversi verso i rispettivi obiettivi strategici, data la distrazione statunitense dal pantano mediorientale.       

Le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina invece hanno da subito scatenato reazioni che si riverbereranno per gli anni a venire. L’improvvida decisione di occupare militarmente il paese est europeo ha ingenerato reazioni che hanno esacerbato le differenze tra i due blocchi. La volontà russa di estirpare le possibilità di un ipotetico ingresso di Kiev nella NATO per ragioni securitarie ha avuto un duplice effetto collaterale avverso: da un lato ha ravvivato nei membri dell’Alleanza Atlantica la necessità di mantenere in vita la NATO stessa, con buona pace del Presidente Macron che nel 2019 la definiva in stato di morte celebrale; dall’altro l’invasione ha funto da propulsore all’ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia, due paesi di sicuro spessore militare, aumentando il confine diretto tra Mosca e l’alleanza atlantica di oltre 1.300 chilometri. La generale condanna della comunità internazionale, tuttavia, non è corrisposta ad azioni concrete da parte di un numero non indifferente di paesi. Tolto il blocco occidentale, “compatto” nel sostegno a Kiev mediante l’invio di armi e intelligence, i cosiddetti paesi del Sud Globale si sono rivelati piuttosto tiepidi, optando per non colpire Mosca con sanzioni o aiutare l’Ucraina concretamente. Anche paesi considerati alla stregua dell’Occidente come Israele e India, hanno preferito astenersi dal sanzionare Mosca, per ragioni di carattere geopolitico ed economico. In ultimo la Cina, che nel difficile tentativo di conciliare il sostegno a Mosca e mantenere intatta la sua figura internazionale di attore benevolo, sta appoggiando indirettamente Mosca pur conservando la linea ufficiale del sostegno all’integrità territoriale ucraina. Invero, questa linea è funzionale a Pechino per giustificare la sua posizione nei confronti di Taiwan. Disconoscere l’integrità territoriale dell’Ucraina, favorendo il separatismo filorusso delle regioni orientali del paese, presterebbe il fianco alla politica di unificazione cinese e alle mire indipendentiste taiwanesi.

Condanne internazionali: la totale destabilizzazione di un paese invaso senza giusta causa, la recrudescenza degli attentati terroristici dovuti all’occupazione, la distruzione delle infrastrutture di base, l’aumento della violenza settaria tra sunniti e sciiti, la dilagante corruzione, le migliaia di morti tra le fila dei due eserciti e tra i civili innocenti, i profughi iracheni sfollati, le false accuse in seno all’ONU circa il possesso di armi di distruzione di massa e i collegamenti con le organizzazioni terroristiche. Queste le conseguenze dirette e indirette della campagna bellica condotta dagli Stati Uniti contro un paese colpevole di nulla, se non di essere posizionato strategicamente in un quadrante di estremo interesse per Washington. La devastazione generata dall’invasione dell’Iraq, aggravata dalle accuse pretestuose, avrebbe potuto certamente generare elementi probatori sufficienti per una condanna internazionale dei vertici dell’amministrazione Bush. Eppure, nonostante la palese violazione della Carta delle Nazioni Unite, derivante dall’invasione del paese e i crimini di guerra perpetrati e avallati presumibilmente dai vertici della Difesa nella persona di Donald Rumsfeld, a oltre vent’anni dall’operazione Iraqi freedom nessuno dei rappresentanti dell’allora amministrazione repubblicana è stato formalmente messo sotto processo. L’Iraq oggi è un paese profondamente modificato dalle conseguenze dell’invasione americana. Pervaso dalla corruzione, piagato dalla violenza settaria, con una patologica mancanza di infrastrutture e geopoliticamente vicino all’Iran, l’Iraq di oggi è frutto di un’aggressione che ne ha modificato l’assetto sociopolitico sensibilmente. Il tutto senza che i responsabili siano mai stati messi in stato di accusa da nessun tribunale.  
Il 17 marzo 2023 la Corte Penale Internazionale con sede all’Aia ha spiccato un mandato di cattura per il Presidente russo Vladimir Putin. L’accusa è la responsabilità diretta nella deportazione illegale di popolazione e di trasferimento illegale della stessa, in particolare di minori nell’ambito del conflitto in corso in Ucraina. Il Tribunale (al quale né la Russia né gli Stati Uniti e nemmeno l’Ucraina hanno mai ratificato lo Statuto di Roma) nell’emettere il mandato di arresto per Putin e per la Commissaria per i diritti dei fanciulli Maria Alekseyevna Lvovabelova ha scoperto un nervo malcelato. La parzialità del giudizio della Corte Penale nel giudicare il Presidente russo per crimini oggettivamente deprecabili ma nel tacere di fronte ad atti altrettanto deplorevoli come la destabilizzazione dell’Iraq, mostra l’allineamento occidentale dell’organo giuridico. Plastica manifestazione dell’intolleranza all’accusa della Corte arriva direttamente da uno Stato che aderisce al Trattato, il Sud Africa di Ramaphosa.               Nei preparativi per l’organizzazione del Summit dei Brics, il presidente Sudafricano non ha fatto mistero della sua insofferenza alle decisioni della Corte, dapprima garantendo l’immunità al Presidente Putin al fine di partecipare al Summit, per poi virare sulla scelta di far partecipare il Ministro degli Esteri Lavrov. Seppur ritrattata, la decisione del Sud Africa ha rilevato l’inconsistenza di una Corte le cui sentenze hanno valenza giuridica circoscritta all’Occidente. Il Sud Africa, come altri paesi del Sud Globale si è di fatto astenuto dalla risoluzione di condanna dell’invasione russa in terra ucraina in seno all’Assemblea dell’ONU.  

In conclusione, mettere a confronto le due guerre, benché le stesse presentino evidenti differenze, è uno strumento utile a comprendere come le questioni di carattere geopolitico vengano filtrate tramite lenti numerose volte permeate di parzialità. Ciò ostacola l’opinione pubblica nel formulare un giudizio oggettivo che abbia anche una congruità storica rispetto a fatti accaduti in precedenza, per i quali si è scelto di valutarli con colpevole parzialità.   

Quanto sta avvenendo in Ucraina non è meno grave di quanto è stato perpetrato in Iraq vent’anni fa. Forse è vero il contrario: se la Russia almeno ha delle flebili attenuanti dovute alla psicosi da accerchiamento NATO e dalla necessità di rimanere aggrappata alla sua grandezza imperiale (si badi bene non si sta facendo apologia pro-russa in tale sede, la gravità di quanto sta avvenendo in Ucraina è oggettivamente riscontrabile), l’invasione dell’Iraq rimane priva di un giustificativo reale che possa in qualche modo attenuare la gravità delle scelte prese dal Presidente Bush e dal suo entourage.

* Presso gli antichi Greci, l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina.

** L’aggettivo onussiano (con la variante onusiano) significa ‘dell’Onu, che riguarda o è relativo all’Onu’, vale a dire all’Organizzazione delle nazioni unite. 

Credits: Graphics by AM_DIT

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Carlo Andrea Mercuri

Carlo Andrea Mercuri

Analista geopolitico, si occupa da anni di questioni internazionali. Autore del libro Verità a Stelle e Strisce (Gruppo Albatros il Filo - 2017), ha collaborato con diverse testate per le sezioni esteri e geopolitica. Appassionato di storia contemporanea americana ed estremorientale.

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