LA CASA DEL SOCIAL JOURNALISM

U.S.A. VS CINA – PARTE III
Fase Demografica

Carlo Andrea Mercuri

Approfonditi nei precedenti articoli gli aspetti legati alla competizione sul piano economico e sulla guerra in Ucraina, prendiamo ora in esame un terreno di scontro particolarmente sensibile e a volte ignorato nella sfida geopolitica tra i due contendenti: la fase demografica che l’aquila e il dragone stanno vivendo.

Nel 2022 la Cina, per la prima volta dal 1961 – anno della Grande Carestia dove milioni di cittadini cinesi morirono a causa delle politiche economico-sociali imposte dal partito comunista –  ha accusato una flessione nella sua bilancia demografica; 9,5 milioni di vivi contro 10,4 milioni di morti. Con una popolazione prettamente stabilita sulle ricche coste cinesi (circa il 64% del totale), sconvolta culturalmente dalle politiche di contenimento della natalità varate dal Partito sul finire degli anni Settanta – simbolica in tal senso fu la politica del figlio unico varata da Deng Xiaoping per il contenimento di una natalità all’epoca giudicata fuori controllo –  che hanno portato il cinese medio ad intendere il nucleo familiare con un figlio unico come normalità, il crepuscolo demografico cinese è una seria minaccia per una società che oggi vanta un’età media di 38,4 anni. Stanti le proiezioni di medio periodo, la bilancia demografica cinese rischia di segnare l’allarmante dato di 50 anni come età media entro il 2050. Il governo ha varato delle politiche per incentivare la natalità, dapprima rimuovendo gli ostacoli alla secondo genitura e poi alla terza, ma ad oggi le previsioni vedono una Cina sempre più vecchia nel prossimo futuro, e pertanto meno incline a battersi per il primato mondiale, data la progressiva mancanza di violenza che permea le società anziane. Un effetto già sperimentato in Europa, dove l’età media nell’Unione ha raggiunto il poco invidiabile dato di 44,4 anni, con paesi come Italia e Germania che rischiano concretamente l’inverno demografico. Eppure, le mire egemoniche di Pechino non consentono un rilassamento in tal senso, imponendo al Partito Comunista di cambiare rotta rapidamente per evitare di dover rinunciare alla corsa per il primato mondiale per mancanza di un serbatoio sufficiente di cittadini in età attiva. L’Esercito Popolare di Liberazione è dovuto correre ai ripari, innalzando l’età massima di arruolamento a 26 anni. Tuttavia, sia le forze armate che il Partito devono fare i conti con una scarsa propensione del cinese medio a fare la guerra, tendenza diffusa soprattutto tra la popolazione in età studentesca. Gli stessi genitori sono poco inclini a inviare i propri figli (unici) tra le braccia dell’esercito.
Per contro gli Stati Uniti, se da un lato si accostano alla Cina in quanto ad età media (38,5 anni), possono contare su di un fattore determinante per il mantenimento dell’età media entro livelli accettabili: i flussi migratori. Il sogno americano rimane grande attrattore degli allogeni per una terra fatta d’immigrazione. L’afflusso esogeno rimpolpa la manodopera a stelle e strisce e permette di pompare sangue fresco tra le fila delle forze armate. Il mantenimento della popolazione giovane consente di sopportare più efficacemente i sacrifici imperiali. Tuttavia, anche nel fenomeno migratorio si riscontrano potenziali elementi disgreganti per la società americana: uno su tutti è il possibile fallimento nell’assimilazione della popolazione ispanica, con i messicani in testa come reticenza potenziale a tale pratica. Nessun altro gruppo di immigrati in America ha mai potuto rivendicare una simile vicinanza alla madrepatria come i Chicanos, nonché il diritto a reclamare territori una volta appartenenti al Messico.  Se a ciò si aggiunge che gli ispanici sono la prima minoranza negli Stati Uniti (circa il 18%, destinati a diventare il 21% entro la fine del decennio) si denota un potenziale campanello d’allarme disgregatore. Demograficamente gli ispanici si concentrano principalmente negli Stati Uniti del Sud, in quelle terre irredente pericolosamente vicine al Messico. In tal senso il muro sbandierato da Trump, ma già finanziato bipartisan da molto prima che il Tycoon sedesse nello studio Ovale, deve essere visto come strumento di divisione social-culturale con una madrepatria troppo vicina ai suoi esuli. Al di là di possibili (quanto improbabili allo stato attuale) timori secessionisti, la linfa apportata dall’immigrazione permette agli Stati Uniti di mantenere la bilancia demografica (quasi) in ordine, sufficiente per garantire gli appetiti (ridimensionati) imperiali di Washington. La Cina per Contro non ha quel potere attrattore tipico degli USA, sebbene anch’essa benefici di immigrazione, proveniente in larga parte dal sud-est asiatico; ma la componente di assimilazione viene a mancare a causa di un modello, quello cinese, scarsamente attraente all’estero.

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Carlo Andrea Mercuri

Carlo Andrea Mercuri

Analista geopolitico, si occupa da anni di questioni internazionali. Autore del libro Verità a Stelle e Strisce (Gruppo Albatros il Filo - 2017), ha collaborato con diverse testate per le sezioni esteri e geopolitica. Appassionato di storia contemporanea americana ed estremorientale.

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