La devastazione ucraina iniziata nel febbraio 2022 ha inevitabilmente convogliato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale verso il conflitto in atto tra Kiev e Mosca. Eppure, gli apparati washingtoniani non hanno mai perso di vista la loro principale fonte di preoccupazione: l’Indopacifico e la minaccia cinese in esso contenuta.
Con buona pace della Russia, aggrappata all’ideale di rimanere ancorata al treno delle grandi potenze, è con Pechino che gli Stati Uniti disputeranno la partita per il futuro primato mondiale. È dal 2011 che Washington ha deviato le proprie attenzioni verso il Pacifico, con il famoso Pivot To Asia di obamiana memoria. Complice l’estroflessione cinese in ambito economico e geopolitico in un’area strategicamente rilevante per Washington, il baricentro della competizione si è fisiologicamente spostato su quell’affollato quadrante. Profittando della distrazione derivante dalle guerre a-strategiche americane in Medio Oriente, la Cina ha accresciuto il suo peso economico-politico in Asia, Africa ed Europa. In silenzio Pechino ha rafforzato la propria marina militare, ha intessuto importanti relazioni economiche, coinvolgendo i tre continenti succitati nel progetto della Belt and Road Initiative e ha creato il club antiamericano dei Brics che punta alla de-dollarizzazione dei mercati globali. Per contro gli Stati Uniti, anche grazie al retaggio antisovietico, hanno cementato una serie di alleanze militari volte al contenimento cinese con i paesi asiatici, andando a creare un cordone di sicurezza che limita l’azione talassocratica del dragone. Oggi la Repubblica Popolare è intrappolata da Washington in una doppia catena contenitiva di isole composta dai suoi principali oppositori regionali, tra cui Giappone, Filippine e Australia. Alla Casa Bianca sono consapevoli che la collisione con il dragone sarà difficilmente evitabile e la distrazione ucraina deve cessare quanto prima, per ribilanciare il focus delle attenzioni di Washington sull’Indopacifico.
In questo speciale analizzeremo in cinque parti le dimensioni del confronto tra Stati Uniti e Cina.
Nello specifico si considereranno i rispettivi approcci a determinate questioni che pongono i due contendenti direttamente o indirettamente in uno status di rivalità per il primato mondiale. I terreni di confronto analizzati sono:
- Guerra in Ucraina
- Situazione economica
- Fase demografica
- Competizione per Taiwan
- Geostrategia
Le conseguenze della guerra in Ucraina
“Mai interrompere il tuo nemico quando sta commettendo un errore”, recitava Napoleone Bonaparte. Pare essere questo il motto sussurrato a Pechino dallo scoppio del conflitto in Ucraina. La deflagrazione delle ostilità il 24 febbraio 2022 ha costretto Washington ad un ennesimo coinvolgimento su un teatro europeo dalla fine delle guerre jugoslave. Dopo un fisiologico tentennamento nei primi giorni di guerra, complice la plausibile caduta dell’Ucraina nelle prime ore del conflitto, lo sforzo statunitense per un sostegno a Kiev ha mostrato al mondo le immense capacità degli Stati Uniti nel supportare efficacemente, tramite i soli strumenti di intelligence e forniture militari, un paese aggredito.
Ad oltre un anno dall’inizio del conflitto, l’amministrazione Biden è divisa tra l’intenzione di infliggere a Mosca una sconfitta esemplare (nonché un danno d’immagine al Cremlino) e la necessità di non farsi distrarre oltre modo dal teatro ucraino, lasciando così mano libera alla Cina nell’Indopacifico. Il progressivo e sempre più dispendioso coinvolgimento degli Stati Uniti e degli alleati in Ucraina rischia di far scivolare in secondo piano il teatro più importante per Washington da oltre un decennio, l’Indopacifico. Per contro Pechino, superato lo shock iniziale dell’invasione russa, con la conseguente perdita dell’investimento di oltre 9 miliardi di dollari sul territorio ucraino e il forzoso rimodellamento del corridoio sarmatico delle vie della Seta – la guerra in Ucraina ha costretto Pechino a rivedere completamente il ponte terrestre euroasiatico, data l’iniziale centralità dei paesi coinvolti nel conflitto, dove la Russia rappresentava il maggior beneficiario degli investimenti cinesi e l’Ucraina il ponte per l’Europa – si avvantaggia oggi del conflitto in corso su tre fronti: economico, diplomatico e geostrategico.
A livello economico Pechino oggi, grazie al conflitto, acquista greggio e gas russi a prezzi da discount in modo da alimentare a basso costo la sua vorace macchina industriale. Una Russia disperata, carente di alleati di valore sui quali poter contare, si è ripiegata al ruolo di junior partner di Pechino, che gongola dopo l’accordo per il raddoppio del gasdotto Power of Siberia. L’espansione del gasdotto accrescerà il flusso metanifero verso l’Impero di Mezzo di quasi il doppio rispetto ai livelli attuali. Gli appetiti energivori di Pechino saranno (moderatamente) sedati dal gas russo a basso prezzo.
Diplomaticamente, l’ambiguità della posizione cinese (proposta del piano di pace in 12 punti vs esigenza di difesa dell’alleanza con Mosca) le consente di proporsi al mondo come attore (parzialmente) estraneo al conflitto nonché promotore di stabilità internazionale soprattutto nei confronti dei paesi in via di sviluppo, in cerca di una possibile guida al di fuori delle potenze occidentali. La propagazione cinese in un continente giovane come l’Africa ne è esempio plastico, con le cancellerie dei vari paesi del continente legate economicamente a Pechino. Il leitmotiv cinese è semplice quanto efficace: la Cina è una potenza in via di sviluppo, non è un paese occidentale con un passato colonialista o neocolonialista (con buona pace dell’Eliseo) e ricerca con i paesi africani una partnership su un piano di parità. I Cinesi sono da tempo il primo partner commerciale del continente africano con un interscambio che ha superato nel 2022 i 280 miliardi di dollari. La leva economica cinese è usata per creare consenso politico tra le capitali africane, specie nei consessi internazionali dove Pechino ha ottenuto cessioni di sovranità politica dalle cancellerie del continente nero. Grazie all’appoggio dell’Africa, la Repubblica popolare controlla interi pacchetti di voti; tutto ciò a danno di Stati Uniti e Russia, con i primi disimpegnatisi dal continente nel ventennio dedicato alle guerre mediorientali ed i secondi costretti a svincolarsi almeno parzialmente dall’Africa per concentrare le energie sul sanguinoso conflitto ucraino. Sempre a detrimento di Mosca, Pechino si avvantaggia negli Stan, presentandosi come interlocutore serio presso le cancellerie dell’Asia Centrale, nel silenzio del Cremlino che non può osare fare la voce grossa in questo momento delicato. A livello Geostrategico la distrazione ucraina di Washington, permette a Pechino di rifiatare nell’Indopacifico, con un pressing opprimente sull’isola di Taiwan, con quest’ultima costretta a subire i sempre più frequenti giochi di guerra della Cina continentale. Nonostante ad oggi sia incapace di riprendersi l’isola manu militari, la Cina con le sue esercitazioni mette sotto pressione Taipei e suoi alleati, testandone anche le possibili risposte. Le ultime esercitazioni tenutesi tra l’8 e il 10 aprile scorsi sono plastica manifestazione dell’assertività di Pechino nel riprendersi l’isola, fosse per il tramite di un intervento militare o per l’improbabile riconciliazione con Taipei. In nuce la partita ucraina, anche se non direttamente giocata da Pechino, vede quest’ultima avvantaggiarsi della situazione creatasi dall’evoluzione del conflitto, magari sperando nel proseguo delle ostilità finanche a bassa intensità, purché le stesse impegnino Washington quel tanto che basta da non uscirne agevolmente.