Al vertice del G7, tenutosi nella città giapponese di Hiroshima lo scorso maggio, è caduto anche l’ultimo tabù. Un estatico Zelensky incassava il fatidico sì del Presidente Biden alla cessione (da perpetrarsi esclusivamente ad opera degli alleati europei sia chiaro, l’USAF non si priverà in questo frangente dei suoi preziosi caccia) dei tanto agognati F-16. L’aereo, prodotto inizialmente dalla statunitense General Dynamics a partire dagli anni 70 – progetto passato poi sotto il cappello della Lockheed Martin negli anni 90 – e aggiornato nel corso del tempo sino a giorni nostri, è stato per mesi oggetto del desiderio sia delle forze armate che del presidente ucraini. Le motivazioni dietro alla richiesta da parte di Kiev di caccia di origine occidentale sono chiare: riconquistare il controllo dei cieli ucraini mediante l’uso di aerei tecnologicamente avanzati, interdicendo il proprio spazio aereo alle sortite offensive russe. La poliedricità del caccia Made in USA consente anche l’utilizzo dello stesso, con ottima efficacia, in attacchi aria-terra contro bersagli sia mobili che fissi. Il possesso di questo aeromobile consentirebbe infine all’Ucraina di smarcarsi definitivamente da forniture di derivazione russa.
Se le ragioni tattiche dietro la supplica per i caccia sono chiare, più sottili sono le motivazioni dietro alla richiesta specifica proprio del Fighting Falcon (nomenclatura ufficiale data al caccia americano) da parte degli ucraini. Pragmaticamente parlando la scelta dell’F-16 ha una duplice valenza: da una parte è semplicemente il caccia maggiormente utilizzato dalle aeronautiche dei paesi NATO e pertanto di facile reperimento tra i “donatori” che hanno finora sovvenzionato lo sforzo difensivo ucraino; dall’altra il veterano F-16 sta subendo, proprio tra alcune delle aeronautiche NATO, una progressiva sostituzione con il più avanzato F-35 Lightning II e pertanto risulta cedibile senza eccessivi malumori da parte dei suoi possessori. Gli Ucraini dal canto loro sanno perfettamente che Washington porrebbe un veto ferreo su eventuali richieste da parte di Kiev relative alla cessione degli F-35, la cui tecnologia è troppo sensibile per rischiare di farla cadere in mano russa (l’esclusione della Turchia dal programma F-35 a causa dell’acquisto delle batterie missilistiche Made in Russia S-400 da parte di Ankara fa scuola in tal senso). Pertanto, l’F-16 risulta un ripiego più che accettabile per la Vijs’kovo-Povitrjani Syly Ukraïny (aviazione militare ucraina). I primi paesi che potrebbero cedere gli aerei di fabbricazione statunitense a Kiev sono la Danimarca e l’Olanda, i quali stanno entrambi sostituendo la propria flotta di F-16 con il caccia di V generazione F-35.
Ancora, la vasta diffusione degli F-16 presso le aeronautiche NATO è condizione propedeutica a garantire agli ucraini in futuro un elevato livello di interoperabilità. Vi sono caccia di origine europea altrettanto validi sul mercato – come lo svedese Gripen o il caccia costruito dal consorzio italo-anglo-ispano-tedesco Eurofighter Typhoon – ma l’ampia diffusione dell’F-16 è il game changer che ha motivato le richieste litaniche ucraine, facendone un mantra finalmente accolto dalla Casa Bianca. In caso di un’escalation del conflitto in corso o di un futuro conflitto che potrebbe coinvolgere direttamente la NATO e la Russia sullo stesso terreno di scontro, sarà fondamentale per Kiev possedere una conoscenza approfondita del caccia che può essere definito la spina dorsale delle aviazioni del Trattato del Nord Atlantico. L’utilizzo dell’Ucraina come piattaforma di lancio per eventuali sortite offensive NATO non potrà prescindere dalla profonda conoscenza di queste macchine, non solo da parte dei piloti, ma soprattutto da parte del personale tecnico di terra ucraino, che sarà chiamato a fornire supporto alle aviazioni alleate.
Fermo restando il dato incontrovertibile attestante che finora nessun paese possessore di F-16 si è esposto ufficialmente nel garantire la fornitura a Kiev, resta il nodo fondamentale rispetto ai tempi di impiego di questi velivoli nel teatro bellico attuale. Le tempistiche di addestramento del personale ucraino vengono ipotizzate ufficialmente in 4-5 mesi (arco temporale ottimistico, considerando che le tempistiche in tempo di pace si aggirano tra i 18 e i 24 mesi), pertanto è da escludersi che gli F-16 supporteranno la sbandierata controffensiva ucraina dell’estate. Resta da vedere se la consegna avverrà a conflitto ancora in corso o se i caccia americani verranno consegnati a Kiev quando le ostilità subiranno uno stop. Il secondo scenario consentirebbe di consegnare l’intero pacchetto (ricomprendente oltre ai velivoli anche l’attrezzatura necessaria alla manutenzione e alla logistica) con la tranquillità di non vedere le basi dell’aviazione ucraina bersagliate dall’offensiva russa. In tal caso gli F-16 andrebbero a formare l’ossatura che, nei piani di Washington, renderà l’Ucraina un boccone troppo amaro per Mosca, scoraggiando future sortite offensive sull’onda dell’Operazione Militare Speciale. L’Ucraina, che difficilmente si unirà alla NATO immediatamente dopo il conflitto (per far parte dell’Alleanza atlantica il prerequisito essenziale è l’unanimità del consenso da parte dei membri facenti parte dell’organizzazione, cosa tutt’altro che scontata data l’alta volatilità del territorio ucraino in questo momento), potrebbe seguire l’esempio di Taiwan, adottando la Strategia del Porcospino. Acclarata la disparità di forze in campo tra Russia e Ucraina (così come quella intercorrente tra la Repubblica Popolare cinese e Taiwan), Kiev dovrebbe dotarsi di un alto numero di armamenti difensivi ad altissima tecnologia funzionali a scoraggiare l’eventuale aggressore. Questi armamenti, paragonabili agli aculei di un porcospino, dovrebbero dissuadere predatori di maggiore stazza dal perpetrare aggressioni di alcun tipo senza mettere in conto costi enormi in termini militari, economici e di vite umane.
Il ruolo dell’Italia
Tra i partecipanti al G7 anche l’Italia si è dichiarata pronta a fornire supporto a Kiev nell’Affaire F-16. Supporto che potrebbe estrinsecarsi esclusivamente in un addestramento dei piloti ucraini, non avendo il Bel Paese più i caccia prodotti dalla Lockheed Martin nel proprio arsenale aereo da più di un decennio.
Gli F-16 furono infatti in forza all’Italia dal 2003 al 2012 per il tramite del programma di leasing Peace Caesar, per far fronte al periodo intercorrente tra la radiazione degli F-104 Star fighter e la consegna degli Eurofighter Typhoon presso l’Aeronautica Militare.
La mancanza della disponibilità del caccia presso l’Aeronautica Militare italiana potrebbe tuttavia relegare l’Italia ad un ruolo comprimario in tale fase, facendole preferire paesi che oggi ancora vantano l’aeromobile tra le proprie fila come le aeronautiche nordeuropee.