Il nuovo esecutivo insediatosi il 15 agosto scorso sarà chiamato ad affrontare molteplici sfide in politica estera: Taipei, Pechino e Washington i dossier più caldi.
L’insediamento a Palacio de Los López di Santiago Peña come nuovo Presidente del Paraguay sarà caratterizzato da una serie di sfide importanti per il paese. Insediatosi il 15 agosto scorso, il leader del partito conservatore Coronado dovrà ricercare, per il suo esecutivo, un delicato equilibrio tra continuità in politica estera e pressioni endogene. Alla cerimonia di insediamento di Peña era presente, tra gli invitati delle delegazioni estere, il vicepresidente taiwanese Lai Ching-te, prossimo candidato alle presidenziali dell’isola del 2024 per il Democratic Progressive Party.
In controtendenza al resto del subcontinente, Asunción oggi è di fatto l’unica cancelleria del Sud America a mantenere rapporti diplomatici ufficiali con Taiwan. Instaurati nel 1957, i legami diplomatici tra i due paesi furono favoriti dal comune sentimento anticomunista dell’allora Presidente paraguaiano Stroessner e del generalissimo Chiang Kai-Shek.
La crescente rilevanza economica rivestita dalla repubblica Popolare Cinese negli ultimi anni ha causato un progressivo scostamento delle cancellerie sudamericane in favore di Pechino, a detrimento di Taiwan. In ossequio alla One China Policy, che prevede il disconoscimento di qualsiasi altra entità cinese diversa dalla Repubblica Popolare, la maggioranza degli stati centro e sudamericani ha interrotto le proprie relazioni ufficiali con Taipei in favore di Pechino. Ultimo in ordine temporale l’Honduras, che il 26 marzo 2023, ha ufficialmente interrotto i rapporti diplomatici con Taiwan.
La campagna elettorale in Paraguay ha visto confrontarsi il neoeletto Santiago Peña con Efrain Alegre, rappresentante del Partido Liberal Radical Auténtico, leader di centro-sinistra, che nella sua agenda política aveva promesso il taglio dei rapporti diplomatici con Taiwan in favore di Pechino.
Scopo di Alegre era quello di incrementare sensibilmente l’export paraguaiano, specialmente nei comparti soia (e derivati) e carni, corrispondenti a circa il 50% delle esportazioni del paese. Le urne hanno però premiato la linea di continuità scelta dall’economista Peña, il quale però avrà il difficile compito di coniugare il proseguo dei rapporti con Taiwan con le pressioni interne provenienti dai produttori agricoli e dai grandi allevatori.
Due categorie che aspiravano all’apertura di un canale commerciale privilegiato con l’enorme mercato cinese, famelico di beni alimentari indispensabili al sostentamento del suo miliardo e quattrocento milioni di abitanti. Oggi la bilancia commerciale paraguaiana è in disequilibrio nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, con quest’ultima che esporta circa il 30% del totale dei beni acquistati da Asunción a fronte di un import residuale (complice il blocco derivante dalla succitata One China Policy).
Le intenzioni del nuovo esecutivo Peña sono di creare cinquecentomila nuovi posti di lavoro nel settore agricolo, sintomatico di come il governo voglia ovviare al mancato sbocco sul mercato cinese, incentivando l’export su altri canali.
Non solo Cina e Taiwan sul tavolo dei dossier internazionali, il Presidente dovrà anche tentare di ricucire i rapporti con gli Stati Uniti, incrinati dalla figura del mentore politico di Peña, l’ex Presidente Cartes, in carica dal 2013 al 2018. Lo scorso anno il Segretario di Stato americano Antony Blinken poneva il veto all’ingresso di Cartes negli Stati Uniti date le accuse di corruzione e di coinvolgimento con associazioni terroristiche (tra le quali Hezbollah e il cartello della droga brasiliano PCC) mosse proprio da Washington. Insinuazioni che l’ex presidente paraguaiano ha sempre respinto.
Accuse che però stando sempre alle parole di Blinken “hanno minato la stabilità delle istituzioni democratiche paraguaiane contribuendo alla percezione pubblica di corruzione e impunità all’interno dell’ufficio del Presidente paraguaiano”. A queste si è unito, nel gennaio del 2023, un pacchetto di sanzioni che ha colpito le aziende controllate dall’ex Presidente, impedendo alle stesse di fare affari in territorio statunitense. La pesante eredità di Cartes costringerà Peña, considerato a tutti gli effetti il delfino dell’ex Presidente, a faticare non poco per accreditarsi a Washington come interlocutore affidabile.
Credits: foto di David_Peterson da Pixabay