Quali sono le origini della questione israelo-palestinese? Come si è giunti ai recenti massacri? Quali potenze hanno manovrato le due etnie portandole all’inevitabile scontro?
Le recenti tensioni che affliggono lo stato d’Israele e i territori palestinesi sono solo l’ultimo tassello di un complesso mosaico etnico-religioso che compone quel martoriato angolo di mondo.
A oltre 75 anni dalla nascita dello Stato d’Israele, la questione ebraico-palestinese è lungi dall’essere vicina a una risoluzione finanche di compromesso tra i due attori.
L’odio interetnico tra arabi ed ebrei è una miccia che non smette mai di ardere e periodicamente re-innesca un’area ad alta volatilità. In questo articolo proviamo a fare un po’ di chiarezza sulle origini dell’odio tra israeliani e palestinesi (e non solo).
Il movimento sionista e la terra promessa
Nell’ultimo ventennio del XIX secolo, la popolazione della Palestina era costituita approssimativamente da 450.000 abitanti di cui oltre il 90% di etnia araba e religione musulmana. L’area era sotto il controllo del decadente impero Ottomano.
La popolazione ebraica risiedente in Palestina era poco più che residuale, contando non più di 20.000 individui e composta sia da ebrei ashkenaziti (originari del centro ed Est Europa) che sefarditi (spagnola-nordafricana) concentrati prevalentemente tra Gerusalemme, Hebron, Tzfat e Tiberiade.
Mentre la comunità ebraica in Palestina viveva in una condizione di relativa tranquillità, contrariamente in Europa le genti ebraiche venivano vessate per il tramite di ghettizzazioni, discriminazioni e violenze, in special misura nell’Impero Russo. Le persecuzioni a cui erano sottoposte le diaspore nel Vecchio Continente fecero da catalizzatore alla nascita del sionismo.
Nel 1896, data di pubblicazione del libro der Judenstaat, di Theodor Herzl, si fa risalire la nascita del movimento sionista. Nelle tesi di Herzl si sosteneva che l’unica soluzione al problema ebraico era la creazione di un nuovo stato.
Tesi che presto venne sposata da buona parte delle élite ashkenazite, preoccupate per le nuove ondate di antisemitismo paneuropee, specialmente in Russia, dove tra il 1904 e il 1906 lo Zar, per deviare l’attenzione dalle rivolte di piazza antiregime, aizzava ad arte il popolo russo contro la diaspora ebraica.
Venivano fondati così gruppi sionisti che si prodigarono per sponsorizzare la colonizzazione e l’emigrazione verso la Palestina. La narrativa che avrebbe accompagnato l’esodo verso la Palestina sarebbe stata quella di un ritorno del popolo eletto alla terra promessa dai tempi della distruzione del tempio di Gerusalemme, avvenuta nel I° secolo dopo cristo. Alla fine del XIX secolo, grazie ai finanziamenti dei gruppi sionisti, venivano creati nuovi insediamenti ebraici che portavano nel 1914 la comunità ebraica in Palestina a costituire l’8% della popolazione.
La strumentalizzazione della questione israelo-palestinese durante la Grande Guerra
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale inglesi, francesi e russi studiarono un piano per spartirsi le spoglie del moribondo impero ottomano al termine delle ostilità. Per fomentare una rivolta anti-ottomana nel Vicino Oriente Londra promise da una parte l’indipendenza agli arabi e contemporaneamente una patria agli ebrei.
L’importanza per gli inglesi in quel quadrante risiedeva principalmente nel canale di Suez, via d’acqua strategica di collegamento con la perla dell’impero, l’India.
L’impero ottomano del sultano Mehmet V era alleato della potente Germania guglielmina, il più temibile avversario di Londra. La Sublime Porta controllava la sponda Est del Mar Rosso, ponendo una seria minaccia agli interessi inglesi sul canale.
La stagnazione derivante dai primi mesi di guerra fece gemmare la decisione di attaccare al ventre molle dell’alleanza degli imperi centrali proprio la Turchia ottomana. Per favorire la disgregazione della Sublime Porta, Londra sobillava ad arte il nascente movimento del nazionalismo arabo.
La Gran Bretagna individuava il suo alfiere anti-ottomano nello sceicco Hussein Bin Ali Al Hashimi, sovrano dell’Hijaz, desideroso di estendere la propria influenza sulla penisola arabica. Alle richieste di Hussein di sostegno alla causa araba gli inglesi risposero favorevolmente seppur in modo vago.
Hussein, sedotto dalle promesse britanniche, mobilitava un esercito anti-ottomano. Ma gli accordi anglo-arabi trasudavano malizia da parte britannica: inglesi e francesi di fatto avevano piani diversi. Tramite l’accordo Sykes-Picot Parigi e Londra si accordavano per spartirsi su carta parte del Levante e Medio Oriente: alla Francia i territori della Grande Siria, alla Gran Bretagna l’Iraq con i suoi porti strategici, i pozzi petroliferi e le ferrovie di collegamento.
La città di Haifa anche sarebbe finita sotto il dominio britannico, così da garantire un porto sul Mediterraneo funzionale al trasporto del greggio estratto dall’Iraq.
La Dichiarazione Balfour
Nel 1917, con i russi sull’orlo dell’implosione endogena, il Primo Ministro Britannico Lloyd George tentava di sfruttare il movimento sionista a proprio tornaconto, dando disposizioni al Ministro degli Esteri Balfour di redigere un documento che toccasse i cuori del popolo ebraico.
La dichiarazione Balfour mise nero su bianco il favore della Corona nel creare un focolare nazionale ebraico in Palestina, applicando al contempo tutti i suoi sforzi per il conseguimento di questo obiettivo. Era la prima volta che una grande potenza europea sosteneva apertamente la visione sionista di una patria per gli ebrei.
L’appoggio alla nascita di un focolare nazionale ebraico in Palestina era funzionale anche a generare sommovimenti ebraici in Germania, al fine di destabilizzare il paese in guerra con Londra.
Ma lo sceicco Hussein aveva inteso che quella stessa terra era parte integrante dell’accordo sull’indipendenza araba.
La Rivoluzione russa e la presa di potere da parte dei bolscevichi comportò la pubblicazione degli archivi segreti dello Zar nei quali erano presenti anche i piani di spartizione per il Medio Oriente a conflitto concluso. Il 31 ottobre 1918 gli ottomani capitolavano definitivamente e l’11 novembre terminava la guerra.
Le promesse tradite
A Versailles le potenze vincitrici si riunivano per decidere il nuovo assetto geopolitico. Le conseguenze della guerra a livello geopolitico comportarono un’implosione dei grandi imperi, tra i quali l’Austro-ungarico e l’Ottomano per l’appunto.
Il presidente USA Wilson propugnava il principio di autodeterminazione dei popoli e delle nazioni per la revisione dei confini tra Stati. Le parole di Wilson venivano raccolte anche dagli arabi che fieramente si erano battuti per la loro indipendenza.
Tuttavia, il futuro della Palestina e del Medio Oriente era già segnato dall’accordo Sykes-Picot. I territori Arabi dell’Impero Ottomano venivano dati in amministrazione a Francia e Gran Bretagna per il tramite della neonata Società delle Nazioni.
La promessa di uno stato indipendente per arabi ed ebrei veniva accantonata. La Palestina, sotto mandato britannico veniva comunque aperta all’immigrazione ebraica dall’Europa. Gruppi sionisti finanziarono l’acquisto della terra e la costruzione di insediamenti ebraici in Palestina.
Gli arabi, in netta maggioranza demografica, oltre a vedere sconfessate le promesse inglesi, subivano la progressiva emarginazione in favore della minoranza ebraica. Iniziano, così, una serie di scontri tra arabi e ebrei all’interno dei quartieri ebraici di Gerusalemme e Jaffa.
Veniva istituita l’Haganàh, embrione del futuro esercito israeliano, propedeutica alla difesa dei coloni ebraici in Palestina. Negli anni Trenta e Quaranta, a causa della persecuzione nazista, l’immigrazione di ebrei in Palestina aumenterà in modo esponenziale.
I fondi sionisti continuavano a finanziare l’acquisto di terre e aziende nella Terra Promessa. A causa della crisi del 1929 e delle carestie di quegli anni, molte famiglie arabe si videro costrette a vendere le proprie proprietà, spesso a prezzi irrisori.
Complici le promesse italo-tedesche di concedere l’indipendenza alle popolazioni arabe di Palestina in caso di sconfitta della Gran Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale, i palestinesi simpatizzarono con la causa nazista in funzione antibritannica.
Le crescenti tensioni tra arabi ed ebrei, unite all’impossibilità per la Gran Bretagna di mantenere il controllo sul proprio impero, complici le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, portavano Londra a rinunciare al mandato sulla Palestina nel maggio del 1947.
La creazione di Israele
Il futuro della Palestina era demandato all’ONU, che con la Risoluzione 181 avrebbe proposto di separare il paese in due stati: a Israele sarebbe andato il 55% del territorio, alla Palestina il 44%, con il corridoio Gerusalemme – Betlemme (circa l’1%) mantenuto sotto gestione internazionale.
Una proposta virtualmente inaccettabile per le popolazioni arabe: il 37% del totale della popolazione in Palestina avrebbe messo mano su oltre la metà del territorio conteso, con l’acquisizione anche di una parte sostanziale delle fertili aree collinari.
La risoluzione 181 venne utilizzata per accelerare l’acquisizione di terre da parte degli ebrei e la contestuale espulsione degli arabi dalle terre poste sotto il controllo ebraico. L’espulsione generò quasi quattrocentomila esuli palestinesi, antefatto della Nakba (la catastrofe).
Il 14 maggio 1948 David Ben Gurion proclamava la nascita dello stato di Israele. Il giorno successivo gli eserciti di Libano, Giordania, Siria, Iraq ed Egitto dichiararono guerra al neonato stato da essi non riconosciuto; tuttavia, la scarsa coordinazione delle forze armate arabe e i contingenti poco corposi, uniti alla grande preparazione dell’Haganah, forgiata dal secondo conflitto mondiale, portarono alla sorprendente vittoria di Israele.
Come conseguenza oltre 750.000 palestinesi furono espulsi dalle terre sotto il controllo israeliano e reinsediati in Cisgiordania e nella striscia di Gaza (la Nakba). Al termine della guerra il territorio israeliano aumentò rispetto a quanto ipotizzato dalla risoluzione 181 fino al 78% del totale.
La fine delle ostilità non avrebbe fatto altro che ingenerare costanti tensioni tra israeliani e palestinesi che si protraggono ancora oggi con i recenti scontri a Gaza.
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