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I primi effetti del Trilaterale di Camp David

Le crescenti tensioni nell’Indo-Pacifico hanno portato i protagonisti del Summit di Camp David a lanciare un primo segnale concreto a Pyongyang e a Pechino

Il 9 e 10 ottobre si sono svolte esercitazioni trilaterali al largo del Mar Cinese Orientale; questo il primo segnale tangibile che permette di declinare in azione concreta i proclami del Summit di Camp David tra i leader di Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone.


La portaerei della Marina statunitense, USS Ronald Reagan, accompagnata dal cacciatorpediniere sudcoreano Yulgok Yi I e dal cacciatorpediniere portaelicotteri Hyuga della Forza Marittima di autodifesa giapponese (oltre ad altre unità minori per un totale di sette vascelli) hanno solcato le acque estremorientali per una due giorni di esercitazioni congiunte.

Obiettivo conclamato: rafforzare la cooperazione in ambito marittimo in chiave anti-nordcoreana.

Le crescenti tensioni nell’Indo-Pacifico – quadrante strategico dove convergono nel raggio di pochi chilometri Cina, Russia e Corea del Nord – hanno avuto come effetto collaterale il riavvicinamento di Tokyo a Seoul, con il placet di un compiaciuto Joe Biden.

Le annose questioni che hanno coinvolto le relazioni tra i due paesi estremorientali dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sono state messe da parte per far fronte alla concreta minaccia derivante dalle mire egemoniche di Pechino e dal pericolo proveniente dall’incognita Pyongyang. 

Sullo sfondo del riavvicinamento, gli Stati Uniti come garanti dello status quo nell’Indo-Pacifico, che hanno saputo sfruttare le tensioni regionali al fine di cementare le alleanze con le democrazie asiatiche, suggellando il tutto nella residenza estiva del Presidente degli Stati Uniti.

Il Trilaterale di Camp David

Il 18 agosto scorso a Camp David, residenza estiva del Presidente degli Stati Uniti – luogo di storici accordi diplomatici tra cui quello del 1978 con protagonisti Sadat e Begin, che avrebbe preannunciato la firma del trattato di pace tra Egitto e Israele l’anno seguente – Joe Biden ha ospitato il premier giapponese Fumio Kishida e quello sudcoreano Yoon Suk Yeol.            
              
I due paesi estremorientali, fondamentali alleati washingtoniani nello sforzo contenitivo di Pechino e Pyongyang, hanno affermato la reciproca volontà di acuire la cooperazione economica e militare, condannando al contempo il comportamento aggressivo di Cina e Corea del Nord, nello sforzo congiunto di instaurare una vera cooperazione trilaterale.

I leader dei tre paesi hanno annunciato al termine del summit agostano i Principi di Camp David, per un Indo-Pacifico aperto, nel contrasto ai tentativi unilaterali di sconvolgere lo status-quo della macroarea.      
Nell’intento di creare un coordinamento efficace, in risposta alle sfide e alle minacce regionali, le tre cancellerie hanno concordato la creazione di una linea rossa trilaterale per una condivisione concertata delle risposte alle emergenze e alle criticità dell’area.

              
Non solo, con la volontà di contrastare le minacce derivanti dai test missilistici nord coreani e la crescente aggressività sinica nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, i tre leader hanno condiviso la necessità di tenere esercitazioni militari congiunte a cadenza annuale, nonché l’istituzione di un meccanismo di condivisione di dati in tempo reale sulle allerte missilistiche provenienti da Pyongyang.                     

Amici per forza

    
La pragmatica strategica ha di fatto imposto a Tokyo e a Seoul di mettere da parte l’astio reciproco, conseguenza dell’occupazione giapponese della penisola coreana dal 1910 al 1945, alimentata poi da settant’anni di rapporti altalenanti e mancate ammissioni di colpa.      


Tokyo e Seoul avevano già compiuto passi concreti di riavvicinamento nei mesi scorsi: a marzo i due paesi si erano accordati per il risarcimento alle vittime dei lavori forzati e alle comfort women, donne coreane utilizzate nei bordelli militari dell’armata imperiale, durante la succitata occupazione giapponese.  

A maggio la Big Tech Samsung annunciava la costruzione di un impianto per la fabbricazione di microchip nella cittadina giapponese di Yokohama. Il tutto sotto il patrocinio di Washington, in pressing da tempo con tutti i suoi alleati per escludere la Cina dalla catena di approvvigionamento dello strategico mercato dei semiconduttori.          

Lo scopo delle esercitazioni congiunte

Il 9 e 10 ottobre le marine militari di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud hanno dato vita a una due giorni di esercitazioni navali congiunte. È la prima volta da sette anni che i tre paesi si coordinano per operazioni di tale portata, declinate in tattiche di interdizione marittima in risposta a potenziali minacce provenienti dalla Corea del Nord.

Le spregiudicate mosse di Pyongyang perpetrate negli ultimi mesi hanno richiesto una risposta ferma che non si è esaurita con la due giorni di esercitazioni.     
Al termine delle operazioni in mare la Portaerei Reagan è attraccata nel porto coreano di Busan, nell’estremo sud della Penisola Coreana. Più di un semplice scalo tecnico, un chiaro segnale rivolto verso Pyongyang.

A Washington non hanno affatto gradito il recente incontro tra Kim Jong-un e Putin, dove i due leader hanno deciso di cooperare per uno scambio reciprocamente proficuo: artiglieria e munizioni alla Russia, affamata di armamenti al fine di sostentare il suo sforzo bellico in Ucraina, in cambio di aiuti allo sviluppo delle tecnologie militari della Corea del Nord.

Tecnologie delle quali Pyongyang si servirà per portare avanti il programma di ammodernamento in campo bellico. Chiaro esempio in tal senso è il varo del sottomarino “Hero Kim Kun-ok”, che verosimilmente, nonostante le limitazioni tecnologiche, dovrebbe essere in grado di ospitare missili con testate atomiche tattiche.

Rimane comunque un’incognita relativa alle reali intensioni russe: la domanda è se Mosca deciderà di condividere con la Corea del Nord alcune delle sue tecnologie, data la storica reticenza a svelare i propri segreti militari anche a paesi allineati con il Cremlino.

Kim vota Trump

L’atteggiamento di Biden nei confronti della Corea del Nord è stato pressoché immutato nei sui anni di presidenza.  Il lavoro diplomatico svolto da Trump non è stato coltivato e l’amministrazione democratica ha preferito concentrarsi sul rafforzamento dei rapporti con i suoi storici alleati estremorientali.

Non è un mistero che a Pyongyang facciano il tifo per Trump alle prossime elezioni americane. Una rielezione di Biden vorrebbe dire altri quattro anni di sanzioni che non farebbero altro che piegare ulteriormente la già precaria economia nordcoreana, già in pessima forma.

Al contrario l’elezione di Trump alla Casa Bianca potrebbe riesumare il dialogo tra Washington e Pyongyang, portando finanche a un alleggerimento delle sanzioni. Trump per sua stessa ammissione è rimasto in contatto con Kim dopo il termine della sua presidenza e il tentativo di trascinare la Corea del Nord fuori dall’orbita sino-russa potrebbe essere più di una semplice suggestione.

L’ostacolo dichiarato però è l’arsenale atomico della Corea del Nord. Inverosimilmente il leader nordcoreano deciderà di privarsi di quella che può definirsi come una sorta di assicurazione sulla vita (politica e non) di Kim e del regime comunista di Pyongyang.

In caso di vittoria di Trump e di nuovi negoziati, il Tycoon non potrà non tenere conto delle linee rosse che la Nord Corea non è disposta a oltrepassare.   

Ma novembre 2024 è ancora lontano e per il momento la politica estera di Biden nei confronti della Corea del Nord si manifesta plasticamente con una superportaerei ancorata a sud della penisola coreana, a ricordare che il summit di Camp David ha tracciato una linea netta a rimarcare con quale delle due coree Washington vuole dialogare.

Credits: foto di 12019 da Pixabay

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Carlo Andrea Mercuri

Carlo Andrea Mercuri

Analista geopolitico, si occupa da anni di questioni internazionali. Autore del libro Verità a Stelle e Strisce (Gruppo Albatros il Filo - 2017), ha collaborato con diverse testate per le sezioni esteri e geopolitica. Appassionato di storia contemporanea americana ed estremorientale.

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