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Il Dragone minaccia Manila

Carlo Andrea Mercuri

L’espansionismo cinese nelle acque dell’Indo-Pacifico oggi è una seria minaccia per tutti i paesi non allineati alla geopolitica del Dragone. Per contro, Pechino deve espandere la sua influenza per proteggere il progetto delle Vie della Seta.

La crescente aggressività cinese nelle acque dell’Indo-Pacifico pone in rotta di collisione il Dragone con gran parte degli altri stati rivieraschi del ribollente quadrante. Dal Vietnam alle Filippine fino a Taiwan, Pechino, per il tramite di aggressive politiche di militarizzazione e autoproclamazioni di sovranità, tenta di fare del Mar Cinese Meridionale un lago sinico. La Linea dei Nove Tratti, varata dall’establishment cinese nel 1947, tratteggia confini unilaterali di esclusiva competenza e sovranità marittima a favore di Pechino. All’interno di quest’area vengono ricompresi gli arcipelaghi delle Spratly e delle Paracelso e alcune secche divenute di strategica importanza per reclamare sovranità su questo tratto di mare. Invero anche la stessa Taiwan pone mire speculari a quelle pechinesi sul Mar Cinese Meridionale, in particolare sugli arcipelaghi delle Spratly e delle Paracelso.         
Di fatto fu il Ministero dell’Interno della Repubblica di Cina nel 1947 a pubblicare per primo il documento contenente la Linea dei Nove Tratti, quando al potere in Cina vi erano ancora i nazionalisti del Kuomintang. Coinvolti nella guerra civile sinica contro i comunisti di Mao, i nazionalisti furono costretti ad abbandonare la Cina continentale nel 1949 per riparare in esilio a Taiwan. Il Partito Comunista Cinese fu ben lieto di ereditare la Linea dei Nove Tratti dalla controparte nazionalista e da allora sia Pechino che Taipei pongono le medesime rivendicazioni sui rilievi insulari e sulle acque del conteso Mar Cinese Meridionale.
Al fine di cementare le pretese di sovranità sull’ambito tratto di mare, Pechino ha avviato da circa un decennio il progetto della Grande Muraglia di Sabbia. Il nome, evocativo della controparte terragna, nasconde in sé la maestosità di un progetto di costruzione di isole artificiali nell’arcipelago delle Spratly. Gli atolli ricavati dall’ingegneria sinica sono stati militarizzati al fine di sostanziare fattivamente le pretese di Pechino.    

Le rivendicazioni cinesi collidono con la maggior parte delle posizioni dei paesi insulari del Sud-Est asiatico. Tra questi le Filippine che, in ossequio alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare (UNCLOS) avviavano nel 2013 un arbitrato nei confronti di Pechino sulle rivendicazioni siniche afferenti alle Spratly. La sentenza del 2016 all’unanimità appoggiava le rimostranze filippine, sconfessando le rivendicazioni cinesi poiché prive di una reale storicità nell’effettivo controllo esclusivo dell’arcipelago da parte di Pechino. Il verdetto, seppur non deliberante su questioni relative alla sovranità delle isole e dei confini marittimi, sanciva la mancanza totale di basi legali da parte della Cina per accampare diritti storici. La sentenza non venne accolta da Pechino che, tuttavia, complici anche le buone relazioni instaurate con l’ex presidente filippino Duterte, si dichiarava comunque impegnata in una risoluzione congiunta delle controversie.
L’avvento alla presidenza di Ferdinand Marcos Jr nell’estate del 2022 ha incrinato ulteriormente le già fragili relazioni tra Manila e Pechino. Al contempo ha permesso un graduale riavvicinamento dell’arcipelago filippino all’alleato storico di Manila, gli Stati Uniti. Il legame tra i due paesi ha radici addirittura di carattere coloniale, quando Washington, a seguito della vittoria nella guerra ispano-americana del 1898, ottenne come bottino di guerra – tra le varie concessioni – anche la colonia spagnola delle Filippine. Acquisita l’indipendenza nel 1946, le Filippine si legarono a Washington in un Trattato di Mutua Difesa nell’agosto del 1951.    

 
Oggi la crescente assertività di Pechino nel Mar Cinese Meridionale pone a serio rischio gli interessi di Manila nelle Spratly. Le ragioni della disputa poggiano su diritti di sfruttamento del sottosuolo, dove si stimano ingenti riserve di idrocarburi non sfruttate, diritti di pesca, essendo il Mar Cinese uno dei tratti più ricchi in tal senso e in ultimo (ma di certo non meno importante) il controllo delle rotte marittime. La Via della Seta Marittima impone a Pechino il dominio di questo tratto di mare. Per gli antagonisti del Dragone invece rimane imperativo garantirne la libertà di navigazione.       
In particolare, Manila rivendica sovranità su una decina di atolli e banchi di sabbia situati per lo più in posizione antemurale all’isola di Palawan. Tra queste nel Second Thomas Shoal, conosciuto come atollo di Ayungin nelle Filippine, Manila ha apposto un presidio militare fisso dal 1999. Arenando la nave da trasporto anfibio Sierra Madre, la stessa è divenuta una base per i marines filippini, che in tal modo garantiscono una bozza di sovranità sull’affioro insulare.
Impossibilitata all’autosufficienza, la Sierra Madre necessita di continui rifornimenti dalla madre patria per continuare a operare. Vettovagliamenti che viaggiano via mare e che nell’ultimo anno sono stati oggetto di azioni di disturbo da parte di Pechino.
L’ultima in ordine cronologico è avvenuta il 6 agosto scorso quando navi della Guardia Costiera cinese hanno disturbato le operazioni di rifornimento della Sierra Madre, utilizzando cannoni ad acqua contro i natanti filippini intenti ad approvvigionare l’avamposto. Alle proteste di Manila circa il comportamento della Guardia Costiera cinese, Pechino ha replicato denunciando l’ingresso illegale delle navi cargo nelle “sue acque”.

L’episodio, che di per sé non ha generato danni materiali alle navi e agli equipaggi, denuncia comunque uno stato di tensione crescente tra i banchi sabbiosi del Mar Cinese Meridionale. In virtù dell’articolo V del Trattato di Mutua Difesa, in caso di scontro reale con la marina cinese, Manila potrebbe coinvolgere gli Stati Uniti in un conflitto esteso nell’Indo-Pacifico, che ingenererebbe quasi certamente un’escalation globale. Tirarsi indietro per Washington sarebbe quasi impossibile: disattendere il trattato minerebbe irrimediabilmente l’aura protettiva che gli Stati Uniti hanno apposto sugli alleati asiatici (e non solo) dal Giappone a Taiwan. Quest’ultima in particolare desta l’interesse congiunto sia di Washington che di Manila.
Con oltre 100.000 cittadini filippini residenti a Taiwan e data la vicinanza geografica di Formosa al Nord dell’arcipelago filippino, Manila vede con preoccupazione l’evoluzione geopolitica della contesa tra Pechino e Taipei. Solo nell’ultimo anno il governo di Marcos jr ha garantito agli Stati Uniti l’accesso ad ulteriori quattro basi militari filippine affacciate su Taiwan, segnale di come Manila stia definitivamente ricalibrando il suo posizionamento in favore di Washington.

Credits: foto di Krisia da Pexels

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Carlo Andrea Mercuri

Carlo Andrea Mercuri

Analista geopolitico, si occupa da anni di questioni internazionali. Autore del libro Verità a Stelle e Strisce (Gruppo Albatros il Filo - 2017), ha collaborato con diverse testate per le sezioni esteri e geopolitica. Appassionato di storia contemporanea americana ed estremorientale.

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