(La vignetta è di Roberta Gelsomino, “Matita di fuoco”)
Ieri sera, nel corso della trasmissione televisiva Piazza Pulita, è andato in onda un servizio che vi invito a rivedere (dal minuto 1.02 al minuto 10.38) emblematico del disastro di Ischia (e non solo) che spiega molto bene, a chi è capace di andare oltre il clamore e il sensazionalismo prodotto dai media e ragiona fuori dagli stereotipi, perché in Italia succedono disastri di tale portata. Le ragioni principali, a mio avviso, sono quattro. Noi che viviamo nell’era dell’Antropocene:
1. siamo sempre più lontani dalla conoscenza dei fenomeni naturali: le affermazioni del primo intervistato che il cronista incontra lungo la strada sono molto eloquenti in tal senso: “Ma quale abusivismo – grida – la frana è partita dalla montagna… quella casa quando è stata fatta stava bene, mò è franata, però la terra c’era davanti“. Un altro lo segue a ruota: “la frana è partita dalla punta dell’Epomeo? E’ un fenomeno naturale? Che c’entra l’abusivismo?”
Per loro, come per la maggior parte dei nostri concittadini, non vi è alcun nesso tra la montagna alle spalle e il mare a valle e la costruzione della casa non ha alterato l’ambiente nel quale è sorta. Siamo stati allevati come individui, ci consideriamo separati dall’ambiente e dagli altri, incapaci di percepire le relazioni e le conseguenze delle nostre azioni e, soprattutto, non vivendo più a contatto con la natura non ne conosciamo comportamenti, ritmi, cicli. Fenomeni come questi per molti sono considerati disgrazie venute giù dal cielo, un pensiero da fine ‘700 più che da nuovo millennio, altro che progresso scientifico, siamo ancora fermi al fatalismo!! In questo una responsabilità enorme ce l’ha la scuola, più attenta a formare ingranaggi per le varie catene di montaggio industriali che persone in grado di badare a se stesse e capaci di stare al mondo.
Le attuali generazioni non sanno come si formano gli ambienti naturali: l’acqua, il terriccio, l’aria, le piante e come si vive in simbiosi con essi. Il cronista risale un fianco del monte Epomeo per capire da dove è scesa l’acqua che lui trasforma in masso che “si è staccato ed è finito verso il porto“, “si vede che non c’è alcuna manutenzione della montagna – continua – alcuna opera dell’uomo se non fatta un secolo addietro” sostenendo un pensiero antropocentrico che ignora che la natura è in grado di badare a se stessa anche senza bisogno dell’uomo e ci mostra delle briglie “di contenimento” fatte nel 1936 dalla forestale. In realtà sono quasi sempre le opere dell’uomo ad aver alterato lo stato dei luoghi e compromesso la loro stabilità, un bosco sano non provoca frane anche se riceve una bomba d’acqua, su quel monte si nascondono le ragioni della frana che il cronista però non indaga.
Per capirlo occorrerebbero persone di esperienza in grado di appurarlo e giornalisti, non degli amplificatori di sensazioni e di emozioni quali sono diventati oggi. Basta fare una ricerca sul Web per scoprire, infatti, che in agosto… (continua a leggere su ereticamente.it)