Ormai da qualche settimana è calato il sipario sulla 73esima edizione del sempre chiacchierato Festival di Sanremo, una manifestazione canora di respiro nazionale che ha il precipuo scopo di mettere in luce le più apprezzabili ugole italiane, sia nella categoria degli artisti già affermati che nella categoria dei nuovi talenti.
In realtà questo era l’obiettivo precipuo ai tempi dei nostri nonni, quando unici protagonisti della manifestazione della musica italiana per antonomasia erano i testi, le sonorità, i fiori e nulla più.
In passato, e ci riferiamo agli Anni ’50 o almeno fin quando la Tv aveva tutto il fascino del bianco e nero, la protagonista assoluta era la musica. Semplicemente la musica.
Dopo le performance (discutibili) dell’ultima edizione, ci interroghiamo sul senso di questa manifestazione. Senza dubbio è un spettacolo del genere varietà, rappresentazione di uno spaccato sociale; un format costruito a tavolino da un direttore artistico-conduttore, Amadeus, attorniato da quattro donne, non banali vallette come sarebbe stato anni fa ma co-conduttrici, ognuna portatrice di un preciso messaggio sociale e ideologico da trasporre in un monologo.
Delle quattro co-protagoniste – l’attrice Chiara Francini, la pallavolista Paola Egonu, la giornalista Francesca Fragnani e, last but non least, la top influencer Chiara Ferragni – è proprio il messaggio di quest’ultima a destare qualche perplessità.
Chiara Ferragni è riconosciuta professionalmente in Italia e nel mondo come blogger e imprenditrice digitale. E’ la prima influencer italiana ad aver avuto un successo internazionale e, grazie al suo impegno, è riuscita a sdoganare una nuova improbabile professione, un vero e proprio lavoro per migliaia di esperti dell’influencer marketing.
Un tempo, sino a 15 anni fa, il mondo digitale era guardato con diffidenza per non dire con sufficienza; in breve tempo la modella e brand ambassador, non solo è riuscita a far conoscere al mondo la possibilità di creare una community ma, grazie alla reputazione conquistata ammaliando milioni di follower a colpi di outfit e dirette dalle sue piattaforme social, è riuscita a conquistare un grande potere. Potere economico e quindi potere “politico”.
Si è giunti ad un livello tale di emancipazione digitale che la Ferragni nel frattempo è divenuta un’attivista a tutto tondo. E’ paladina dei diritti civili e sociali, della lotta femminista e delle coppie Lgbt +, testimonia i valori della famiglia e della libertà di espressione. Perché allora affidare a un personaggio così influente un monologo patetico e privo di contenuti (e soprattutto autoreferenziale) consentendole, non più dal pulpito digitale ma dalla tribuna più popolare della Rai, persino di decidere come vestirci e come comportarci?
L’avventura sanremese della elegante e ribelle milanese, alla luce dei fatti, è stata una delle scelte meno calcolate dalla direzione del festival. Con un atteggiamento tronfio la Ferragni ha condotto la kermesse più importante dell’anno sfidando tutti: la morale, la dignità di donna, il rispetto per le vere donne rivoluzionarie della storia. Protetta dai suoi milioni di adulatori, dai brand che l’hanno vestita e utilizzata, la sua è stata una performance offensiva per quelle donne siriane che per un capello fuori posto vengono uccise ogni giorno.
A Chiara Ferragni direi semplicemente che avrebbe dovuto citare nel suo monologo le storie di ribellione delle grandi donne della storia. E invece no, si è fatta portavoce di tematiche importanti in maniera goffa e imbarazzante. Cara Ferragni: Sanremo non è casa tua, non è un party con i tuoi amici.