LA CASA DEL SOCIAL JOURNALISM

L’utopia della democrazia digitale

Da Redazione

Riferendo le vicende che in queste ore stanno scuotendo il Brasile, l’informazione generalista mette l’accento sul parallelismo tra l’assalto dei bolsonaristi ai Palazzi delle istituzioni carioca e quello del gennaio 2021 a Capitol Hill, sede del Congresso americano, ad opera dei sostenitori di Trump

L’intento evidente è quello di dimostrare come le “destre populiste” siano pervase da sentimenti eversivi e siano quindi affatto compatibili con le regole della democrazia.

Non vi è dubbio che i due casi siano assimilabili: sia per la metodologia adottata nelle consultazioni (digitale, anche se parziale nel caso degli Usa), sia per la matrice politica degli sconfitti, convinti negazionisti dell’esito elettorale. Ma la domanda che ci poniamo è: Perché è diventata così frequente la contestazione del suffragio popolare?

Sostenere che alcuni schieramenti politici “non sanno perdere” perché profondamente antidemocratici è quantomeno riduttivo, se non altro perché la tesi appare priva di un’analisi più attenta sui meccanismi della cosiddetta e-democracy (democrazia digitale), enfaticamente definita la nuova frontiera della democrazia partecipativa.

In entrambe le circostanze, infatti, la contestazione prende spunto dal sospetto di brogli dovuti alla “manipolabilità” del voto elettronico. Non è un caso che alcuni manifestanti del Planalto abbiano issato sul Palazzo della Corte suprema brasiliana un grande striscione che recita “vogliamo il codice sorgente“. La Corte Suprema, che è la massima istituzione giudiziaria del Paese, assumendo in sé le funzioni di Corte d’appello e di Corte costituzionale, avrebbe infatti rifiutato la consegna del software che prova con certezza la regolarità delle elezioni.

Ricordate il film L’uomo dell’anno (Man of the Year)? La pellicola del 2006 racconta di un conduttore televisivo, Tom Dobbs (interpretato da Robin Williams), che riesce inaspettatamente a prevalere alle elezioni presidenziali americane sui due avversari molto più accreditati di lui. Il voto si svolge in forma elettronica tramite un innovativo software sviluppato da una società privata, ma alla fine si scopre che la vittoria di Dobbs è dovuta a un bug del programma. Tra alterne vicende, alla fine Dobbs svela in diretta televisiva di non essere il presidente scelto dal popolo e di avere capito che la sua vocazione non è il potere, ma sbertucciare i potenti.

Sembra un racconto profetico, se non fosse per un finale “etico” che appare alquanto improbabile nell’epoca attuale. 

Anche in Italia il voto elettronico ha avuto qualche incidente di percorso. La decantata piattaforma Rousseau utilizzata dal Movimento 5 stelle per le sue procedure elettive interne fu bollata dal Garante per la protezione dei dati personali come “non sicura” perché non tutelava l’anonimato degli utenti né li metteva al riparo da una possibile manipolazione delle loro preferenze.

Perfino nelle ultime elezioni per il rinnovo delle cariche dell’Ordine dei giornalisti, il voto elettronico è stato oggetto di contestazioni. A Milano, per esempio, il presidente uscente dell’Ordine lombardo, Alessandro Galimberti, attende tuttora l’esito di un ricorso presentato in Tribunale per sospetti brogli a causa degli “inconvenienti” del software utilizzato.

Dobbiamo allora rinunciare al sogno della e-democracy?

Sembrerebbe proprio di sì, almeno secondo il postulato logico che si ricava dal teorema di tal Henry Gordon Rice il quale, nella sua tesi di dottorato in teoria della computabilità nel 1951, dimostrò l’impossibilità di verificare completamente qualsiasi algoritmo mediante procedure, anche manuali. In altre parole, stando alla tesi di Rice, che resiste da settant’anni, nessuno può garantire con certezza l’assenza di difetti nelle piattaforme per le votazioni elettroniche. Ne consegue che brogli e identificabilità del voto sono “inconvenienti” tutt’altro che infrequenti. Falle peraltro confermate recentemente anche da alcuni ricercatori della Università Purdue di Indianapolis, che anzi ne hanno ampliato l’elenco.

In alcuni Paesi a “democrazia evoluta”, come Norvegia e Olanda, il voto elettronico è stato sperimentato e poi abolito, mentre in Germania è stato dichiarato contrario alla Costituzione, poiché non consente l’indispensabile “controllo pubblico” delle procedure consultive.

Il metodo più sicuro resterebbe, pertanto, il tradizionale “scheda e matita copiativa”(pur con qualche riserva anche in questo caso), mentre l’adozione del voto digitale, che potrebbe rivelarsi utile in molti casi, dimostra ancora una volta le contraddizioni tra evoluzione tecnologica e morale. Ciò che ci sembra una delle chiavi di lettura di fenomeni di questo tipo.

Se poi si preferisce rimanere incastrati nella dicotomia mainstream pro-contro assalitori e nella narrazione manichea destra/sinistra, ognuno è libero di farlo. Ma farebbe un torto alla propria intelligenza.

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