Si è tenuta venerdì 10 alla Camera dei Deputati una tavola rotonda dal titolo La cessione dei “prestiti non performanti”, conseguenze su cittadini e imprese. Le possibili risposte.
L’iniziativa è stata promossa per illustrare una proposta di legge d’iniziativa dei deputati Vaccari, Ubaldo e Pagano.
Politici dei partiti di Governo e dell’opposizione si sono confrontati con esperti sul tema NPL.
L’acronimo NPL sta per Non Performing Loans, traducibile come “prestiti non performanti”, ed indica i crediti che, per un motivo o un altro, risultano più difficili da estinguere, così come le esposizioni scadute o sconfinate.
Termini inglesi, sempre incomprensibili per i più perché l’economia non deve essere spiegata ma subita. In questo breve articolo cercheremo di rendere comprensibile quegli aspetti che sembrano solo per gli addetti ai lavori perché solo attraverso la conoscenza ci può essere un cambiamento.
Che cosa accade quando un finanziamento o un mutuo non viene pagato?
La banca se ne libera attraverso uno strumento che viene chiamato cartolarizzazione.
Per cercare di capire quello che accade dobbiamo comprendere il significato di alcuni termini.
Cartolarizzazione: è un’operazione che trasforma una serie di diritti su attività illiquide (prestiti, crediti commerciali, immobili) in titoli negoziabili. La gestione di queste attività è in capo a una società veicolo, Special Purpose Vehicle (SPV), diversa dalla proprietaria dei diritti.
Crediti deteriorati: in inglese non-performing loans (NPL), sono prestiti giudicati difficili da riscuotere. Si distinguono in esposizioni scadute (le rate non vengono pagate da più di 90 giorni), inadempienze probabili (non recuperabili nella loro interezza se non tramite azioni legali o ricorrendo alle garanzie), e sofferenze, ovvero i crediti verso soggetti insolventi.
Spv: Special Purpose Vehicle, società costituita con l’unico scopo di acquistare diritti su attività illiquide da banche o altri intermediari, per poi emettere titoli acquistabili sul mercato finanziario.
Servicer: società incaricata dalla banca di gestire un portafoglio di crediti deteriorati che sono stati cartolarizzati, procedendo alla riscossione delle rate arretrate o al recupero del credito. Può anche acquistare direttamente i pacchetti di crediti.
La cartolarizzazione è un’operazione finanziaria astratta, che però può avere effetti molto concreti per le famiglie e le aziende che hanno contratto i prestiti. Parte dall’economia reale per poi finire in un sistema parallelo dove mercati, istituzioni e intermediari svolgono le stesse funzioni delle banche senza però dover rispondere alle autorità di vigilanza.
In sostanza una banca svende pacchetti di crediti deteriorati a società appositamente costituite per l’operazione. A loro volta queste società danno in gestione i mutui non pagati a società di recupero crediti, che cercano di riscuotere il dovuto anche con tattiche molto aggressive.
Il meccanismo è incoraggiato dalla Banca centrale europea, perché serve a ripulire i bilanci delle banche dalle sofferenze. Tuttavia, questo meccanismo alimenta un mercato speculativo, sottratto alle regolamentazioni delle banche centrali, che sottrae gettito al fisco dei Paesi dove hanno sede le banche più esposte alle sofferenze.
Il costo sociale delle cartolarizzazioni, poi, può essere molto elevato: chi si è sovraindebitato, magari per colpa delle stesse banche, che hanno concesso mutui a condizioni difficili da ripagare, viene spesso sfrattato.
Il sistema nasconde anche criticità in termini di trasparenza. I veicoli di cartolarizzazione sono società “usa e getta”, con capitale sociale minimo e senza dipendenti, spesso possedute da anonime fondazioni domiciliate in Olanda. Esiste quindi il rischio che le banche siano le vere proprietarie: se così fosse l’intera operazione potrebbe configurarsi come un illecito. Le banche starebbero commettendo una frode ai danni del mercato, aggirando le regole create apposta per evitare una nuova bolla finanziaria come nel 2008.
In sostanza, la banca svende a poco prezzo pacchetti di crediti deteriorati a società appositamente costituite per l’operazione. Il termine svendita non è casuale: secondo Banca d’Italia, il prezzo medio a cui le sofferenze – così vengono chiamati i crediti di debitori insolventi – sono stati cedute nel 2021 era di appena il 20% del valore originario. Per i prestiti senza garanzia il prezzo scende ancora, prospettando lauti guadagni per le società che acquistano i crediti, le Spv. Queste società fanno due cose: innanzitutto si occupano di recuperare il credito, affidandosi anche a società specializzate, i cosiddetti servicer. Allo stesso tempo, provvedono a emettere dei titoli (la cartolarizzazione vera e propria), il cui rendimento dipende dalla probabilità con cui un certo debito verrà ripagato, e li collocano presso investitori professionali. Ad acquistarli, infatti, sono società di investimento e fondi pensione.
Questo meccanismo alimenta un mercato speculativo e opaco, sottratto alle regolamentazioni delle banche centrali. Sottrae anche gettito al fisco del nostro Paese perché nel momento in cui questi crediti vengono ceduti creano perdite che permettono forti risparmi fiscali alle banche con una conseguente diminuzione del gettito fiscale per lo Stato.
Le conseguenze sono molto semplici: se c’è un minor incasso da parte dello Stato ci deve essere un aumento della tassazione a tutti gli altri soggetti per ripianarlo. La seconda è che molti fondi che acquistano le cartolarizzazioni, hanno la sede in paradisi fiscali, e questo,
è un punto critico: il guadagno dell’operazione si ha nella misura in cui il fondo ha versato 100 per acquistare un’obbligazione della Spv, ma questa gli restituisce 120, perché ha incassato di più di quanto abbia speso per comprare i crediti in sofferenza. Questo reddito aggiuntivo viene versato nel luogo dove il fondo ha sede. Se il fondo ha sede in un Paese dove la tassazione è molto favorevole è chiaro che lì c’è un grosso vantaggio.
Il costo sociale delle cartolarizzazioni è quindi molto elevato: chi si è sovraindebitato – magari per colpa delle stesse banche, che hanno concesso mutui a condizioni difficili da ripagare o a causa dell’aumento dei tassi di interesse– finisce spesso per strada.
Il sistema delle cartolarizzazioni è incoraggiato dalla Banca centrale europea, perché serve a disincagliare i bilanci delle banche dalle sofferenze. Periodicamente le banche fanno verifiche interne su quali mutui sono incagliati. Se la banca ha prestato a qualcuno un milione, questo viene registrato come credito nei confronti del soggetto che deve pagare il mutuo. La Banca d’Italia interviene su queste operazioni: se tu non puoi recuperare il milione, lo devi mettere a fondo rischi. Queste operazioni di svalutazione inficiano molto i bilanci delle banche.
In altre parole, se un istituto di credito ha molte sofferenze, dovrà accantonare liquidità, per far fronte all’eventualità che non riveda più i soldi dei creditori insolventi. Cioè per ogni cento euro prestati, ne deve tener fermi altri cento come garanzia. Quindi le liquidità delle banche sono fortemente limitate da prestiti concessi in precedenza: quote importanti dei loro capitali devono restare “inattive” e non possono essere usate, ad esempio, per concedere altri prestiti. Ecco spiegato l’interesse delle banche a liberarsi dei crediti deteriorati, anche a prezzi di svendita.
Uno dei motivi fondamentali del successo delle cartolarizzazioni è che permettono alle banche di rivendere (e quindi portare fuori bilancio) i propri prestiti, con vantaggi non solo in termini di rischio, ma forse prima ancora di elusione delle normative. Ogni prestito viene “pesato” in funzione del suo rischio, per determinare quanti capitali propri la banca deve accantonare nel momento in cui lo eroga al cliente. Nel settore immobiliare in particolare questo significa capitali della banca bloccati per tutta la durata del mutuo, anche 20 o 30 anni. Con le cartolarizzazioni mi libero del prestito, e quindi libero patrimonio della banca che può essere usato per coprire un nuovo prestito.
La domanda che ci si pone a questo punto è molto semplice: perché se le banche svendono un credito al 20% alle società specializzate non possono vendere lo stesso credito al debitore principale magari richiedendo un sovraprezzo dell’1%?
Ogni persona di buon senso potrà rispondere da sé.
La seconda domanda è altrettanto banale. Nella scorsa legislatura erano state già presentate proposte di legge per regolamentare queste operazioni tutelando le parti più deboli, proposte sostanzialmente condivise dalla maggioranza delle forze politiche: perché non sono mai state trasformate in legge o meglio ancora in un DPCM o in un Decreto Legge?
Nel frattempo terzo trimestre da record per tutte le banche, con profitti mai visti nelle casse degli istituti italiani. Gli utili generati hanno raggiunto i 16,5 miliardi nel periodo appena concluso. Un dato superiore dell’80% ai numeri già elevati del terzo trimestre 2022 e le rilevazioni preannunciano risultati ancora migliori per fine anno.
Un invito al Presidente del Consiglio: così come ha saputo affrontare il tema dell’immigrazione in un modo che sembra stia facendo scuola in Europa perché, anziché aspettare l’iter di una proposta di legge che può prevedere mesi ed anni non pensare ad un Decreto Legge che fermi immediatamente la “macelleria sociale”?Questo è uno stano paese dove chi pianifica il debito non lo pagherà mai mentre chi si ritrova indebitato spesso per cause non sue, vedi pandemia e guerre, si ritrova senza casa nel mentre le banche socializzano le perdite e portano gli utili all’estero.