“La legge non ammette ignoranza” è un concetto giusto? Qualche tempo fa abbiamo letto di un musulmano residente in Italia che, portato davanti al giudice per rispondere di violenze nei confronti della moglie, si è scusato affermando di non essere a conoscenza del fatto che picchiare la moglie fosse un reato in Italia, dato che nel suo paese di origine era una cosa normale e ammessa dalla legge. Ora se quel giudice lo avesse considerato “non perseguibile” in virtù di questa sua “ignoranza”, chiunque sarebbe autorizzato a rubare e a uccidere utilizzando poi come linea difensiva “non sapevo che rubare o ammazzare fosse un reato”. Visto da questo punto di vista il principio “La legge non ammette ignoranza” sembrerebbe più che giusto e persino inattaccabile.
Dobbiamo però chiederci come sia possibile non essere ignoranti della legge visto che, come ho citato in un precedente articolo Il potere delle cose semplici nel nostro Paese ”…abbiamo oltre 150.000 leggi, ognuna delle quali fa riferimento ad altre leggi delle quali sostituisce, modifica o implementa uno o più articoli o commi. Leggi che nemmeno gli avvocati conoscono e che possono essere interpretate in maniera diversa, persino opposta, dai vari giudici”. Perché lo Stato non ammette l’ignoranza delle leggi da parte del cittadino, quando accetta l’ignoranza delle leggi da parte di chi dovrebbe amministrare quelle leggi? Quale giudice conosce tutte le 150.000 leggi italiane?
Ma c’è un altro punto importante da considerare: cosa vuol dire “ignoranza”? Questo termine è spesso usato per indicare la “non conoscenza” di qualche cosa. Ma i due termini non sono sinonimi. Facciamo qualche esempio. Quando leggiamo sul giornale che “l’incidente è avvenuto perché il conducente ha ignorato lo stop”, non sta affermando che il conducente non avesse visto il segnale di stop o che non ne conoscesse il significato, ma che – pur avendolo visto e pur sapendo che quel segnale impone di fermarsi – l’automobilista ha scelto di non farlo. Quando rimproveriamo un nostro operaio per aver ignorato il regolamento di indossare l’elmetto in cantiere, non gli stiamo dicendo che non possiamo ammettere il fatto che lui non fosse a conoscenza di tale regola, bensì che – pur essendone pienamente a conoscenza – ha scelto di violarla. Quando nostro figlio ci racconta di essere sempre preso in giro dai suoi compagni di classe gli suggeriamo di “ignorarli”. Non è che nostro figlio non senta i commenti malevoli, non è che non sappia di essere oggetto di una derisione, semplicemente deve fare finta di non sentirli.
“Ignorare”, in realtà, vuol dire “fingere di non conoscere, dimostrare indifferenza o disinteresse verso qualcosa o qualcuno. Il termine giusto che dovremmo usare per indicare la non conoscenza di qualcosa è “insipienza”. E quando vogliamo dire di qualcuno che non conosce qualcosa non dovremmo dire che è “ignorante”, ma che è “insipiente”.
Una corretta applicazione de “la legge non ammette ignoranza” è quella del Fisco svizzero. Quando, nel corso di un controllo della Finanza, vengono evidenziate delle violazioni della legge, i finanzieri non multano l’azienda, come fa senza se e senza ma il nostro Fisco, ma le segnala gli errori e le dà un certo tempo perché questi vengano corretti. Se l’azienda (o il privato cittadino) correggono l’errore, bene. Se ciò non viene fatto, allora scatta “la legge non ammette ignoranza” e, quindi, le relative sanzioni.
Peccato che i nostri legislatori e giudici siano insipienti di che cosa sia l’ignoranza.