Giulio Tarro inizia la sua carriera come allievo e collaboratore di Albert Sabin, l’ideatore del vaccino antipoliomielite. Ha condotto progetti diagnostici e terapeutici durante l’epidemia di colera in Italia del 1973, nonché su epatiti ed AIDS, e più recentemente su SARS, influenza aviaria e influenza suina. E’ primario emerito di virologia presso l’Ospedale Cotugno di Napoli. Snobbato dai grandi media italiani per le sue posizioni critiche rispetto ai vaccini antiCovid, i suoi studi sono pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche internazionali.
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CambiaMenti
Che fine hanno fatto gli studi internazionali sull’immunità naturale, condotti in Italia dall’equipe guidata dal prof. Bonelli dell’Università di Tor Vergata?
Tarro
Gli inglesi per primi (che sono quelli che hanno adottato anche le prime vaccinazioni) sono coloro che hanno sostenuto che c’è una risposta immune ma, dopo il secondo richiamo, si è invece osservata una riduzione dell’immunità naturale in tutte le infezioni, non soltanto quelle della famiglia del Covid. Questa è una cosa molto importante che offre uno spunto per studiare le possibilità di continuare, eventualmente, a utilizzare questo tipo di vaccini. Il problema sta nel fatto che un qualsiasi tipo di microrganismo è capace di stimolare una risposta.
CambiaMenti
Quindi, gli anticorpi che sono prodotti dall’infezione da Sars COV-2 sono più efficaci di quelli prodotti da questo vaccino (o presunto vaccino)?
Tarro
I componenti dei normali coronavirus che portavano raffreddore sono stati studiati dopo l’epidemia del 2002/2003 [Sars-COV-1, n.d.r.] che ha registrato il 10% di letalità. Durante quell’epidemia, su quasi 8000 contagiati ci sono state 774 morti ufficiali. Nel corso di quest’ultima [Sars-COV-2, n.d.r.], i soggetti che hanno sviluppato l’immunità al coronavirus del 2002/2003 hanno una risposta che li protegge dal COVID-19. Quindi, a distanza di anni, c’è ancora un’ottima risposta immunitaria, come hanno studiato in particolare a Singapore.
CambiaMenti
Questa “pandemia” ha avuto impatto non soltanto sulla salute ma anche a livello sociale con l’obbligo del distanziamento. In proposito si è parlato di distanziamento sociale e non di distanziamento fisico. Perché è stata preferita questa definizione, posto che la vita all’aria aperta e le relazioni interpersonali sono considerate unanimemente fattori importanti per il potenziamento del sistema immunitario?
Tarro
Penso che lei abbia colpito nel segno. Proprio a Wuhan (distretto di 11 milioni di persone che è stato il focolaio questa epidemia), esattamente il 14 marzo del 2020, quando registravamo il pieno aumento dell’epidemia, veniva rilasciato il loro ultimo paziente. Quindi, per loro l’epidemia si era già conclusa. Inoltre, a maggio, pur continuando a mantenere una serie di precauzioni, hanno deciso di condurre dei test su 10 milioni di abitanti che hanno dimostrato che, pur essendoci ancora circa 10.000 persone positive, quella piccola percentuale non era sintomatica e soprattutto non era infettante. Questo è un aspetto importante perché loro hanno deciso, dopo questa indagine condotta su quasi tutti i residenti, di terminare il lockdown. Parliamo del 2020! Quanto loro hanno fatto è stato l’opposto di quello che abbiamo fatto noi; quindi, c’è stato questo brutto “rapporto” che non è stato superato nemmeno con l’inizio delle vaccinazioni (che gli inglesi hanno cominciato l’8 dicembre del 2020 e che noi abbiamo iniziato il 27 dicembre).
Se ricorda, mentre gli inglesi hanno sostenuto l’importanza di vaccinare gli over 80 e i soggetti fragili, la nostra “pubblicità” si è rivolta ai soggetti più giovani. Quindi, tra gennaio e marzo [2021, n.d.r.] non c’è stata assolutamente nessuna riduzione della letalità. Da marzo, con l’avvento del governo Draghi, abbiamo finalmente cominciato a focalizzarci sui soggetti anziani, riuscendo anche noi ad ottenere una riduzione della letalità.
A luglio 2021, esattamente il 19, gli inglesi hanno revocato tutte le restrizioni. Noi abbiamo purtroppo continuato sulla nostra “falsariga” e abbiamo continuato ad avere decine di morti, nonostante questa impostazione.
CambiaMenti
Sulla base anche di quello che lei ha detto e sull’origine del virus (su cui circolano varie versioni, da quelle più ridicole a quelle del compianto prof. Montagnier che sosteneva questo fosse un virus prodotto in laboratorio), nel contesto attuale, un virus può essere considerato un’arma biologica che, oltre a provocare morti, consente l’esercizio di un maggior controllo sociale?
Tarro
Questo che lei sottolinea è un problema molto importante, problema che ci porta purtroppo a vedere le cose in una certa ottica. È ormai ufficiale che il famoso laboratorio di Wuhan sia “sponsorizzato” in particolare dagli americani. Magari non è stato creato in laboratorio (c’è da dire che per giunta il 3% degli agricoltori della periferia di Wuhan possiede anticorpi contro il virus sorgente dell’epidemia) ma esiste la possibilità che sia “scappato” (si fa per dire) direttamente dal laboratorio, nonostante le misure di sicurezza. L’origine dunque è sicuramente dal laboratorio di Wuhan, indipendentemente dal fatto che possa essere considerata o meno come arma biologica. Ad ogni modo sappiamo benissimo, da notizie ufficiali, che in Ucraina ci sono almeno 28 laboratori “sponsorizzati” dagli americani, forse anche di più. Questo aspetto non è stato più tenuto in considerazione, nonostante le prove fornite da un’inchiesta delle Nazioni Unite.
È di certo importante conoscere i dettagli di questa “pandemia”, però il tutto va riguardato; in particolare il comportamento del continente africano, in cui non c’è stata mai una vera e propria epidemia di questo coronavirus. Per quanto riguarda le zoonosi nel continente africano, i virus della famiglia dei corona sono normali “commensali”; ecco perché il popolo africano ha una risposta anticorpale anche nei riguardi del nuovo COVID-19 e, di conseguenza, non c’è stata una vera epidemia.
[In effetti, sin dall’inizio della “pandemia”, diversi medici e scienziati notavano che nel continente africano e in altre regioni del mondo affette dal problema della malaria (ad esempio l’Iraq), il numero dei contagiati era molto ridotto – n.d.r.].
CambiaMenti
In quest’ultimo periodo sono stati registrati molti casi, soprattutto tra giovani e sportivi, di patologie coronariche. Secondo lei questa cosa dipende dal “vaccino”, dal long-COVID o c’è altro?
Tarro
Penso anzitutto che sia molto importante la sperimentazione [sui vaccini], e ci vogliono degli anni. La sperimentazione per il Covid, a livello di patologia clinica, finisce semplicemente alla fine di questo anno. Il professor Peter Doshi del Maryland ha scritto, il 4 gennaio del 2021, un editoriale sul British Medical Journal in cui appunto ha messo in evidenza (fatto riportato pure dal New York Times) la bassa efficacia dei vaccini di Pfizer e Moderna. Mentre queste case farmaceutiche dichiaravano una percentuale di efficacia del 90-95%, il prof. Doshi, basandosi sui dati fino a quel punto conosciuti, riportava un’efficacia tra il 19% e il 29%. Con questi dati, tali “vaccini” non sarebbero stati approvati dalla FDA (Federal Drug Administration). Per non parlare della VAERS, istituzione nata negli Stati Uniti nel 1990 e che si occupa di tutti gli effetti avversi che possono verificarsi dopo le vaccinazioni. Durante i primi 9 mesi di somministrazione dei vaccini anti-Covid a mRNA, la VAERS ha riportato una percentuale di letalità superiore del 51% rispetto a qualsiasi altra tipologia di vaccino. Successivamente, grazie ad altri dati che sono venuti fuori, abbiamo potuto appurare che, mentre si era partiti col piede giusto nel “direzionare” queste vaccinazioni verso i soggetti anziani e fragili, i veri problemi si sono riscontrati sui soggetti non anziani e questo a causa del diverso metabolismo, presente in questi ultimi, dell’omocisteina e della metionina, amminoacidi preposti alla coagulazione del sangue. I numeri delle trombosi che si sono verificate nei soggetti non anziani dopo la somministrazione di questi vaccini e delle morti improvvise da infarto, a causa di emboli che di conseguenza si sono venuti a generare, non possono essere più nascosti.
CambiaMenti
A proposito di genetica, c’è anche il rischio di alterazioni del patrimonio genetico, dopo la somministrazione di questi “vaccini” a mRNA?
Tarro
Nel secondo semestre del 2020 è stato svolto un bellissimo lavoro da un gruppo di ricerca dell’Università di Boston che ha evidenziato benissimo, al contrario di quanto sostenevano i biologi molecolari che già studiavano la produzione genetica fornita dai nuovi vaccini, gli effetti della transcriptasi inversa [enzima dei virus RNA che catalizza la sintesi di DNA a partire da uno stampo di RNA; il nuovo DNA viene così incorporato nel genoma della cellula ospite -n.d.r.], che si verificano entro tre mesi dalla somministrazione dei vaccini a mRNA e che hanno generato questo incremento importante dei tumori. Mentre, con la stessa tecnica a mRNA, già dall’inizio del 2020, abbiamo ottenuto ottimi risultati nei casi di tumore mammario, al punto che all’inizio del 2021, l’aspettativa di vita delle donne affette da questo tumore era pari a quella dei soggetti sani. Ecco, questo è un grande successo, però occorre avere uno sguardo abbastanza panoramico su tutto quello che succede. Non bisogna, per così dire, avere i paraocchi come hanno fatto purtroppo i nostri vaccinatori, non considerando altri studi scientifici.
CambiaMenti
I media generalisti hanno ricoperto un ruolo fondamentale nello stesso dibattito scientifico, privilegiando i sostenitori del vaccino, ancorché sperimentale, e non favorendo un confronto con esperti di parere diverso. Secondo lei, la dimensione mediatica della discussione ha alterato un serio confronto scientifico sul tema?
Tarro
Senza dubbio! Lei ha messo il dito nella piaga. Per esempio, il 25 agosto, il mensile scientifico British Journal of Healthcare ha pubblicato una mia monografia che partiva dall’epidemia del 2002-2003, proseguiva con quella del Medio Oriente e terminava col Covid-19. Quello che voglio sottolineare è che la pubblicazione conteneva una visione panoramica di tutto quello che era successo e quindi come si era sviluppata la cosiddetta epidemia, soprattutto utilizzando i dati inglesi che sono quelli che avevano portato appunto alla fine del lockdown. Proprio qualche settimana fa, esattamente il 25 dicembre, i miei lavori sono stati pubblicati su una rivista scientifica del gruppo del British, con un titolo ben preciso: “La Fine di un Incubo”, in inglese The End of a Nightmare, dove in particolare ho parlato del ruolo del sistema immune. Anche in questa occasione ci sono voluti due giorni per l’approvazione e tre per la stampa. Ebbene, io penso che questi siano i punti di riferimento scientifici per comunicare le proprie osservazioni agli altri colleghi, come è sempre stato da quando esiste la ricerca scientifica. Solo così possiamo progredire nella conoscenza e non nell’ignoranza – absit iniuria verbis – di quello che uno sostiene.
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