IL COLPO DI GRAZIA ALLA GLOBALIZZAZIONE. Covid e guerra spingono verso nuove forme di autarchia

Giacinto Cimolai

Forse la globalizzazione non è morta, ma certamente sta ricevendo un colpo di grazia. Prima il Covid, ora la guerra, stanno evidenziando tutti i limiti del capitalismo finanziario.

Fino a prima del Covid nessuno avrebbe pensato che un paese potesse fermarsi e invece abbiamo sperimentato il lock down.

Ora stiamo anche sperimentando cosa significhi la dipendenza dall’energia e dalle materie prime di altri paesi.

Certamente questa non è ancora la fine di un sistema, ma sicuramente sta venendo alla luce in modo indiscutibile, che gli schemi di gioco vanno rivisti.

Due modelli si confrontano: continuare con il globalismo e la finanza speculativa o pensare ad uno switch che non può essere immediato, dalla globalizzazione all’autarchia.

Nell’antichità le economie erano costrette all’autarchia per assenza di trasporti e comunicazione, oggi il mercato si sta riposizionando evitando, ove possibile, di dipendere nella produzione da componenti provenienti da altri continenti.

Stiamo passando dalla delocalizzazione alla rilocalizzazione: molte aziende hanno già iniziato questo processo.

Un processo di deglobalizzazione, in cui alla ricerca di una scala globale si sostituisce la dimensione regionale o persino locale. Ci vorranno degli anni, ma questo deve essere l’inizio di un processo irreversibile, se vogliamo salvare questo paese in cui viviamo.

La politica, quella con la pi minuscola, non la pensa proprio così, anzi. Sta cercando, ad onor del vero con grande capacità, di distruggere il tessuto economico del paese. Prima con la svendita delle grandi aziende statali, poi favorendo lo spostamento della proprietà delle grandi industrie fuori dall’Italia. E con l’aiuto della pandemia il progetto si sta compiendo: migliaia di aziende sono state “uccise” e ora, con la guerra e l’aumento ingiustificato dei prezzi, il colpo di grazia.

I limiti del sistema sono evidenti, nonostante l’informazione ci abbia manipolato prima con il covid, oggi con la vicenda dell’Ucraina. Pur non essendo in guerra stiamo vivendo da oramai due anni in una economia di guerra. Aziende che chiudono, disoccupazione che crescerà ancor di più nei prossimi mesi, prezzi alle stelle, costi dell’energia che impediscono a molte aziende di lavorare.

Anche se gli aumenti dei prezzi e le difficoltà di fornitura successive all’invasione dell’Ucraina sono spesso privi di giustificazione.

Forse che i depositi di carburante erano vuoti per giustificare l’immediato aumento della benzina? Che i magazzini del grano si sono improvvisamente svuotati?

C’è stato sicuramente il panico, ma la mano della speculazione ha fatto il resto sotto gli occhi di un Governo che è rimasto a guardare e subire le decisioni prese da altri.

Tanto a pagare è sempre pantalone, mentre pochi, i soliti, si arricchiscono.

Dietro le guerre ci sono sempre motivi economici: vengono create per il debito che generano. E noi da oramai più di due anni siamo in guerra.

Ma come ne possiamo uscire?

Innanzitutto, dobbiamo prendere consapevolezza che se ognuno di noi non si rimbocca le maniche non possiamo lamentarci di quanto sta accadendo e accadrà nel futuro.

È stato detto che nulla sarà più come prima: lo credo anch’io, ma nel futuro verso il quale ci vogliono accompagnare c’è sempre meno spazio per la dignità e la libertà dell’uomo. È un futuro digitale dove il controllo sarà assoluto, un mondo nel quale pochissimi, non eletti da nessuno, decideranno le sorti del pianeta.

E allora dobbiamo approfittare di questo colpo di grazia verso la globalizzazione, per iniziare un processo verso l’autarchia.

Non decrescita felice ma crescita felice: una crescita nel rispetto dell’ambiente e dell’uomo. Una crescita che privilegi il piccolo piuttosto che il grande.

I piccoli, le partite IVA, i piccoli paesi, sono sempre stati il tessuto economico dell’Italia, ma con queste mazzate rischiano l’estinzione, se non avviamo un nuovo processo economico e politico, che deve ripartire da ognuno di noi e dall’agricoltura.

Perché un’agricoltura sana rispetta l’ambiente, produce cibi sani, coadiuva nello sviluppare progetti sociali. Cominciamo a perseguire l’autosufficienza alimentare ed energetica e vedremo che il mondo cambierà. Ma non dimentichiamo chi sta causando o permettendo tutto questo. Il popolo italiano dimentica tutto molto presto, ma questa volta non possiamo dimenticare il grande inciucio che ha permesso tutte le misure liberticide, spingendoci verso il baratro economico.

Ora si stanno avvicinando le elezioni amministrative in molte realtà, i comuni chiamati al voto sono circa un migliaio: vedremo quante “balle” ci verranno raccontate, ma la verità la stiamo vivendo tutti, ed è misera. È il momento di cambiare il paese per tutelare la nostra sopravvivenza. Non facciamoci abbindolare dai soliti personaggi che cercano solo una poltroncina.

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Giacinto Cimolai

Giacinto Cimolai

Nato a Fontanafredda (Pordenone) l’11 marzo 1958. Sposato e poi, come molti, divorziato.
Dal 1987 ha operato nel settore del benessere, prima come direttore nei corsi di formazione professionale e poi nella gestione di centri benessere.
Nel 2010 incontra Stefania con cui ricomincia una seconda vita e dà inizio al progetto sociale di Comunità Etica, di cui è fondatore e porvavoce.
Dal 2017 si dedica dunque alla promozione e allo sviluppo di questo progetto, promuovendolo in tutta Italia.
Nel 2022 fonda la testata giornalistica CambiaMenti, di cui è direttore editoriale.
Ha pubblicato quattro libri.

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