Tutti i nodi vengono (o verranno) al pettine
Il D.L. n. 24 del 24 marzo 2022 recita nel titolo: “Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza”. Ma l’emergenza è davvero finita?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, con semplicità, quantomeno sulle norme vigenti.
In primo luogo, la cessazione dello stato di emergenza porta con sé la cessazione dei presupposti giuridici di emanazione da parte del Governo di provvedimenti legislativi. Infatti, l’attività legislativa dell’Organo Esecutivo deve avere carattere di eccezionalità, nel rispetto dell’art. 77 della Costituzione Italiana che dispone:
“Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.”
Ecco un primo nodo che viene al pettine: la capacità di legiferare appartiene esclusivamente al Parlamento, liberamente e democraticamente eletto dai cittadini, salvo le eccezioni stabilite per legge (Decreti Legislativi di cui all’art. 76 e Decreti Legge di cui all’art. 77 Costituzione); ne consegue che il potere di emanare decreti legge sulla base di un’emergenza, protratta per oltre due anni, non è più sostenibile.
Sottolineiamo che esiste una chiara ed ineludibile responsabilità giuridica civile, penale e amministrativa dell’intero Organo Esecutivo degli atti emanati quali decreti legge – a decorrere dal marzo 2020 – convertiti in legge con modificazioni entro i termini normativamente prescritti, per lo più “all’ultimo minuto”.
Ampliando l’argomento, anche se solo con pochi cenni ed esulando dalla materia giuridica, è indispensabile dedicare spazio all’argomento dei cosiddetti “vaccini” Covid-19 in uso in Italia e nel resto della Comunità europea. Si tratta di sostanze autorizzate ai sensi del Regolamento (CE) n. 507/2006 – in via condizionata e centralizzata con effetto per tutta l’Unione Europea – dalla Commissione europea con relativa “Decisione di esecuzione” e l’utilizzazione dei medesimi è concessa esclusivamente nel rigoroso rispetto della prescrizione medica prevista, appunto, dalla Commissione Europea.
Sulla necessità di una “prescrizione medica” ai fini dell’uso dei cosiddetti “vaccini” COVID-19, l’Aifa ha stabilito che la predetta prescrizione medica della vaccinazione contro il Covid19 rappresenta un tipo di prescrizione cosiddetta ‘ripetibile limitativa’ (RRL, ricetta ripetibile limitativa), che può essere rilasciata solo da centri ospedalieri o da medici specialisti.
Ecco che, a questo punto, viene al pettine, per così dire, un secondo nodo: i cosiddetti “vaccini” hanno natura sperimentale, autorizzata su prescrizione medica.
E il consenso ad essere sottoposti a vaccinazione?
Ecco il terzo nodo, quello del consenso informato: tale consenso va espresso da chi si sottopone a vaccinazione, previa obbligatoria prescrizione per l’inoculazione del vaccino.
In base alla Legge n. 219 del 2017 in materia di consenso informato, nessun trattamento sanitario può essere imposto ad un paziente senza il suo pieno consenso informato. Il paziente, prima di sottoporsi al trattamento di inoculazione del farmaco sperimentale autorizzato in via condizionata, deve ottenere le necessarie informazioni per concedere o meno tale consenso.
Tutto ciò a tacer del fatto che esiste un Codice deontologico al quale ogni medico deve rispondere.
In questo contesto, un altro nodo viene al pettine: gli stessi produttori dei “vaccini” Covid-19 dichiarano ufficialmente che ad oggi non hanno dati e/o informazioni relativi agli effetti sul medio e lungo periodo, né su talune categorie della popolazione, né si conoscono gli effetti di correlazione con altri farmaci e sulle malattie tumorali.
Ma non è tutto.
La comunità scientifica internazionale ha diffuso una gran quantità di studi sul virus responsabile del Covid 19 dai quali si evince che i cosiddetti “vaccini” attualmente in uso, non consentono di evitare di contrarre l’infezione, né la malattia, e che esistono seri effetti avversi. Peraltro, tanti sono gli articoli di stampa nazionali ed internazionali che riferiscono sul tema.
Riassumendo, non pare sussistere più alcuna base fondante circa il mantenimento di misure restrittive che colpiscono i cittadini nei diritti fondamentali tutelati costituzionalmente, né è possibile imporre agli stessi cittadini, o a parte di essi, in virtù della professione esercitata o della loro età, un trattamento sanitario che non appare affatto sicuro, ed è quindi, come moltissimi giuristi ritengono, contrario alla legge.
In particolare, l’obbligo vaccinale si pone in netto contrasto con l’art. 32 della Costituzione Italiana che recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Pertanto, appare importante ricordare la spiegazione dell’inciso relativo ai limiti imposti al rispetto della persona umana, così come furono sintetizzati, in modo illuminante, dall’onorevole Aldo Moro nell’adunanza plenaria della Commissione del 28 gennaio 1947: “…Non si vuole escludere il consenso del singolo a determinate pratiche sanitarie che si rendessero necessarie in seguito alle sue condizioni di salute; si vuole soltanto vietare che la legge, per considerazioni di carattere generale e di male intesa tutela degli interessi collettivi, disponga un trattamento del genere …”.
Inoltre, tale obbligo viola la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, precisamente l’art. 2 (diritto alla vita), l’art. 5 (diritto alla libertà personale), l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata), l’art. 9 (libertà di coscienza e religiosa), l’art. 14 e Protocollo 12 (divieto di discriminazione), l’art. 32 al Codice di Norimberga, l’art. 7 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici concluso a New York il 16 dicembre 1966 ( legge 25 ottobre 1977 n. 881), gli artt. 1.28 dell’allegato 1/1B e 2.9 dell’Allegato 1/2 del DM 15.07.1997, l’art. 3 del d.lgs. 24 giugno 2003 n. 211 e l’art. 28 del Reg. UE 536/2014.
Né certo può tacersi che imporre di vaccinarsi sotto la minaccia di una sanzione pecuniaria si traduce nel tentativo di estorcere il consenso alla vaccinazione: ciò non è tollerabile e, peraltro, integra fattispecie di reato.
Insomma, molte sono ancora le ombre e poche le luci che circondano questo argomento, così come molti sono ancora i nodi da sciogliere: sino a quando le restrizioni alle libertà dei cittadini saranno in vigore, non potrà certo dirsi che l’emergenza è finita.
In un mondo perfetto, coloro che hanno la responsabilità politica e giuridica del Paese avrebbero già fatto un passo indietro: riconoscere i propri errori e le proprie colpe non è soltanto un atto di coraggio e di forza, ma di auspicabile giustizia.
Avv. Silvia Marengo, avv. Erika Cioni