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I rinoceronti di Calvino e Fellini

Pascal La Delfa

Gli unicorni esistono?

Marco Polo, nel suo “Milione” racconta di aver incontrato degli unicorni. Dunque esistevano veramente, all’epoca del suo viaggio in Oriente? No. Erano semplici rinoceronti: di fatto uni-corni ma non alati e di sembianze equine o antropomorfe come ci si immaginava in certi racconti mitologici. Certamente non animaletti leggiadri e docili: tutt’altro. Ma, come dice il Marco Polo calviniano nelle “Città invisibili”, al cospetto del Khan “Io parlo parlo … ma chi m’ascolta ritiene solo le parole che aspetta. … Chi comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio“. E Orlando, il protagonista di un film di Fellini, tra i pochi superstiti di una tragedia, asserisce che “ il rinoceronte dà un ottimo latte” . Ma perché? Di che -anzi- di chi stiamo parlando? Di Italo Calvino e di Federico Fellini. Un grande scrittore e un grande regista, diranno i più. Senza magari aver mai letto un libro dell’autore ligure né visto un film del regista romagnolo. Che peccato!

Oggi più che mai, andrebbero esplorati. E allora approfittiamo di questo strano (ma non troppo, probabilmente) connubio tra i due, affidandoci come cabalisti da banco del lotto alle ricorrenze che ci offrono i numeri. Sguinzagliate pure il rinoceronte e mettetevi comodi ad ascoltare.

Che dire di nuovo oltre a quello che già maestosamente si sta raccontando un po’ ovunque per i cento anni della nascita di Italo Calvino? E che c’entra poi Federico Fellini, di cui si è già festeggiato il centenario nel bel mezzo della pandemia, tre anni fa?

E la nave va

È vero che il centenario della nascita di Fellini è già stato in qualche modo celebrato, ma tra le ricorrenze felliniane a numeri pari del 2023 (30 anni dalla sua scomparsa, ma soprattutto 70 anni dai “Vitelloni”, 60 anni da “8 e mezzo”, 50 da “Amarcord”), quella che ci interessa è il quarantesimo anniversario dell’uscita del film “E la nave va”, che narra la storia del transatlantico “Gloria N.” Film ritenuto minore dalla critica cinematografica, fu recensito -tra gli altri- in maniera contrapposta da Giorgio Bocca (contro) e da Italo Calvino (pro) nel novembre del 1983 sul quotidiano “La Repubblica”.

Scriveva Calvino, a proposito del film: “Non è un momento ma un mondo, un’idea del mondo come fine del mondo, un’esplosione che, a forza di viverci dentro, finiamo per considerare come immobile e permanente. Da ciò l’assenza di pathos che direi sia la cosa più importante del film, e in fondo la più realmente angosciosa.”

Vi dice qualcosa del giorno d’oggi? Dovrebbe. Ed è normale: gli artisti vedono sempre lontano, e sia Fellini che Calvino, ci hanno raccontato -apparentemente con storie astruse, del passato o del futuro- storie fantasticamente realiste del presente.

Diamo i numeri

Giocando ancora coi numeri, possiamo fissare nel 1965 una data fondamentale per i due artisti: Fellini gira il suo primo film a colori (Giulietta degli spiriti) e Calvino dà una svolta alla sua produzione pubblicando per Einaudi “Le cosmicomiche”. Chissà se a Fellini sia mai capitato di leggere “La distanza della luna” (il primo racconto delle “Cosmicomiche”): atmosfere, personaggi dialoghi che potrebbero essere, per ironia e leggerezza, proprie del regista riminese (che poi girò il suo ultimo film intitolandolo “La voce della luna”). Forse sulla rampa del razzo, nel finale di “Otto e mezzo”, si prospettava un metaforico lancio sulla luna. D’altra parte era il 1963 e ci sarebbero voluti ancora sei anni prima che l’uomo mettesse veramente piede sul satellite della Terra: si poteva ancora sognare di farlo. Oggi che invece tutto sembra possibile e realizzabile, quali potrebbero essere i nostri sogni? Ma lasciamo la domanda infinitamente aperta e torniamo ai due artisti giganti.

Certamente chi abbia letto Calvino, avrà colto poche righe fa l’immancabile citazione della “leggerezza”: una delle più abusate frasi, e naturalmente a buon diritto data l’efficacia, pur nella sua apparente semplicità: “leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. La prima delle “Lezioni americane”, pubblicate postume per l’improvvisa scomparsa dello scrittore, ma che avevano già (anche qui in maniera lungimirante) “Sei proposte per il prossimo millennio” (ovvero il nostro): leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza. Nell’epoca della mancanza di ideali, sarebbe interessante sapere cosa avrebbe proposto Calvino sulla coerenza, ma non ci è dato saperlo, dato che quel capitolo non fu purtroppo mai portato a compimento. Chi non abbia idea di cosa fosse il mondo di Calvino, potrebbe decidere di fare espandere in maniera esponenziale la propria connessione con il resto del mondo attraverso la lettura delle “Lezioni americane”. Oppure, più cautamente, iniziare ad alimentare la propria fantasia con la lettura della “Trilogia dei nostri antenati” (non c’entra Darwin né tantomeno i Flintstones). E magari, allo stesso tempo, provare a guardare “Otto e mezzo”, magari in un cinema d’essai, con il sogno iniziale del protagonista volante tenuto sospeso come un palloncino in mezzo al cielo.

Si, crediamo di sapere più o meno chi siano Fellini e Calvino, grazie ai reel da social, alle solite immagini iconiche che i media ci propinano quando si parla di qualche grande artista italiano facendo finta di conoscerlo: chi non ha mai visto l’esclamazione “Marcello!” di Anita Ekberg nella fontana di Trevi, o l’Alberto Sordi sull’altalena nello “Sceicco Bianco”? O il girotondo finale di “Otto e mezzo” e la sua celeberrima musica di Nino Rota?

Voglio una donna

E l’urlo dello zio matto, arrampicato sull’albero “Voglio una donnaaaa” in Amarcord? Non potrebbe forse essere l’immagine cinematografica più famosa di un (calviniano?) “barone rampante”? Non me ne vogliano i rispettivi (eredi degli) autori per l’audace accostamento: lo stesso Calvino, tornando alla “leggerezza” citava Paul Valery: “bisogna essere leggeri come l’uccello, non come la piuma”. E “lo zio matto” era sicuramente più uccello che piuma: un essere con emozioni e desideri da esprimere con consapevolezza, nella sua apparente follia.

Calvino e Fellini: chi ci aveva mai pensato? Beh, in primis loro stessi, o perlomeno i loro editori. Nel 1974 esce il libro “Quattro film” di Fellini, con l’introduzione di Italo Calvino. Qualcosa che è molto di più di una consueta -e magari ammiccante- introduzione, bensì un vero e proprio scritto a sé stante, in cui Calvino racconta il suo rapporto con il Cinema, sin dalle prime esperienze: “Quando […] ero entrato nel cinema alle quattro o alle cinque, all’uscirne mi colpiva il senso del passare del tempo, il contrasto tra due dimensioni temporali diverse, dentro e fuori del film. Ero entrato in piena luce e ritrovavo fuori il buio, le vie illuminate che prolungavano il bianco-e-nero dello schermo. Il buio un po’ attutiva la discontinuità tra i due mondi e un po’ l’accentuava, perché marcava il passaggio di quelle due ore che non avevo vissuto, inghiottito in una sospensione del tempo, o nella durata d’una vita immaginaria, o nel salto all’indietro nei secoli.”

E in questa introduzione-confessione, Calvino fa una netta distinzione tra cinema e letteratura: “a me il cinema quando somiglia alla letteratura dà fastidio; e la letteratura quando somiglia al cinema anche.” Invece, sono interessanti “i film da cui posso imparare o verificare determinate cose della vita (tipizzazioni, modi di rapporti umani, rapporti tra persona e ambiente, ecc.) che se non c’era il cinema a dirmele, non sarei riuscito a capire in altro modo”.

E in qualche modo Fellini replica con le sue memorie, all’interno del libro: “Mi sarebbe piaciuto fare del cinema nel 1920, avere vent’anni allora, all’epoca dei pionieri, quando tutto era ancora da fare, da inventare. Quando ho cominciato io, il cinema era già un fatto archeologico, aveva già una sua storia, delle scuole, era già iniziato da tempo un processo d’intellettualizzazione, un progetto di elaborazione delle sue regole, dei suoi stilemi, delle sue figure semantiche, dei suoi aggregati strutturali. Alle origini il cinema era invece un fenomeno da fiera, uno spettacolo di piazza e io lo sento sempre un po’ così: qualcosa tra la scampagnata tra amici, l’intrattenimento circense, un viaggio verso una meta da esplorare”. Insomma, qui Fellini va invece verso “gli antenati” raccontati da Calvino nella sua visione narrativa.

Momenti di Gloria

All’inizio di queste righe parlavamo dell’articolo di Calvino sul film “E la nave va”. E ci torniamo, per finire questa rapida suggestione. Chissà se è il senso del mare a legare i due artisti: uno cresciuto sul mar Ligure, l’altro sull’Adriatico. Due città celebri per fasti e feste: Sanremo e Rimini. Una più nobile, l’altra più popolare. Una più matura, l’altra più giovanile. Forse “E la nave va” solca le onde di un mar Mediterraneo culla di molte civiltà, inconsapevolmente dimenticate dall’invasione mediatica di stimoli contemporanei troppo lontani dagli “antenati” già citati, da suggestioni letterarie e poetiche che in qualche riga o in qualche fotogramma raccontano di noi. È l’unico film di Fellini che lascia la patria italica, ambientato appunto nel Mediterraneo, anzi precisamente verso il mare Egeo, tra Grecia e Turchia, crocevia di culture e storia di millenni. Un momento di Gloria (il nome dell’imbarcazione) che nello stesso tempo è un festoso funerale. Attenzione, stiamo per svelarvi la fine del film, o -come si direbbe oggi- “allarme spoiler!” La nave gioiosa, affonda, bombardata.

Scrive Calvino: “Il transatlantico Gloria N. diventa così un’immagine del mondo in cui ci troviamo sempre più stretti, in cui da un giorno all’altro scopriamo che distanze geografiche e sociali sono annullate, un’immagine del nostro pianeta sovrappopolato, ai cui problemi non si trovano soluzioni se non in affermazioni di principio che poi non si riesce a rispettare”. E per comprendere la bontà del latte di rinoceronte e la sua visionaria intuizione, se non si vuole trovare il senso in un significato proprio, si può andare su youtube a cercare un’intervista al maestro riminese.

Lungimiranza di artisti, dicevamo. Lasciamo i lettori sperando di avere suscitato curiosità nel frequentare questi due artisti, con una citazione del finale di “Otto e mezzo”:

 “Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto”. Titoli di coda, o copertina chiusa e consigli per gli acquisti: bevete più latte (di rinoceronte, ovviamente).

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Pascal La Delfa

Pascal La Delfa

Autore, regista e formatore, si occupa di attività artistiche e teatrali, anche in contesti di disagio e fragilità e in progetti europei. È stato autore anche per la Rai e formatore e regista per aziende internazionali. Collaboratore esterno per alcune università italiane, è direttore artistico dell’associazione Oltre le Parole onlus di Roma. Fondatore del “premio Giulietta Masina per l’Arte e il Sociale”. Di recente uscita un suo saggio sul Teatro nel Sociale.

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Luigina Rossi
Luigina Rossi
2 mesi fa

Un articolo, un programma artistico.
Filo-logico su parallelismi e intersezioni,
Polo, Calvino, Fellini. Visionari da visionare, raccontare, assaporare . A base di latte a marchio ” Leggerezza di Rinoceronte”. Congratulazioni Pascal La Delfa, nell’ auspicio che le parole si trasformino in esperienze e percorsi.

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