Nota: la Prima Parte dell’articolo puoi leggerla qui.
Quando ci rendiamo conto che aver seguito strade facili ha indebolito i muscoli del nostro corpo e della nostra mente, è vitale incamminarci su qualche difficile, ma promettente sentiero.
A questo punto la nostra riflessione deve toccare il punto centrale del problema: nella comunicazione pubblicitaria è stata data troppa enfasi alla fantasia invece che alla creatività. Tutto ciò in pieno contrasto con il termine “creativi” che è sempre stato dato agli esperti della pubblicità.
Chiariamo subito la differenza tra queste due caratteristiche. La fantasia permette a una piccola azienda con un budget di cinquemila euro per la pubblicità di immaginare di scritturare Christina Aguilera come testimonial, di incaricare Martin Scorsese di realizzare un film dove la storia ruota attorno al proprio prodotto, di acquistare quattro pagine interne, a colori, per tre mesi di seguito, de IlSole24Ore e di dipingere tutti i treni della rete ferroviaria italiana con il marchio dell’azienda. La creatività consente di utilizzare quei cinquemila euro in maniera da risultare grandemente efficace nell’area di interesse dell’azienda. La fantasia è spesso irrealizzabile. La creatività mai.
Creatività batte fantasia cento a uno.
In realtà, il prevalere della fantasia sulla creatività è stato (e lo è tuttora) trasversale nella nostra società. Prendiamo, ad esempio, i fumetti di Walt Disney. Dai primi tempi del suo creatore, sino agli anni Cinquanta, le storie di Topolino e di Paperino erano veri racconti. Avevano un filo logico, una trama, infatti si prestavano a essere raccontate anche senza l’ausilio delle immagini. Con gli anni Sessanta l’attrazione e la “sostanza” delle storie hanno cominciato a diventare sempre più deboli, per arrivare negli anni Ottanta, Novanta e primo decennio del Duemila a una fragilità e inconsistenza ormai totali. Quelle che erano vere trame poliziesche del detective Topolino sono diventate fantastiche (non nel senso di “eccezionali”) leggende metropolitane di giganteschi coccodrilli che vivono nelle fogne della città o di aggressive lumache, delle dimensioni di un pianeta, che navigano nello spazio. Le vicende del simpatico anche se sfortunato Paperino, che facevano tanto sorridere un tempo, sono ora diventati episodi senza senso di un papero stupido, prepotente e disonesto.
Il problema? La scarsità di capacità creativa ha moltiplicato il ricorso alla fantasia.
Anche il cinema ha vissuto la stessa negativa evoluzione. I western americani degli anni Trenta sino ai Cinquanta, pieni di avventure, epica, eroi e insegnamenti positivi sono diventati i nostrani Spaghetti Western, dove la pseudo storia è un debole filo conduttore di una interminabile sequenza di violenze. E gli altri generi cinematografici hanno vissuto un’analoga parabola. Ormai gli effetti speciali hanno sostituito, in moltissimi casi, la forza della storia raccontata. Per non parlare anche qui della violenza, del sesso e dell’esposizione (quando non esaltazione) dei peggiori istinti e comportamenti umani.
Il problema? La scarsità di capacità creativa ha moltiplicato il ricorso alla fantasia.
Ritorniamo ora al nostro tema centrale della comunicazione in senso lato (pubblicitaria o meno) e stabiliamo un nuovo comportamento: abbandoniamo i facili percorsi del richiamo del sesso perché battuti da tutti (per distinguerci dovremo dare sempre di più) e perché ormai più che abusati (a ogni abbuffata consegue una repulsione).
Riprendiamo fiducia nella nostra capacità di poter produrre idee vincenti e convincenti. Il vero creativo ama le cose non convenzionali (il che non vuol dire essere “contro” le convenzioni). Troppi credono (anzi, si autoilludono) che usare il sesso nella pubblicità sia un’idea anticonvenzionale. In realtà, oggi, è semplicemente un’idea banale. Ricerchiamo quel lampo di genio che si ha quando fatti già noti vengono visti da una nuova prospettiva.
Fu il poeta statunitense Ezra Pound, personalità eccentrica e insofferente del mondo accademico, che disse: “Il genio… è la capacità di vedere dieci cose dove l’uomo comune ne vede una e dove l’uomo di talento ne vede due o tre”.
Quanta comunicazione attraente ed efficace potrebbe venire dall’applicazione di questi semplici principi. Faremmo più felici i committenti, attireremmo di più i pubblici target (per un genitore, ad es, il proprio figlio) e saremmo professionisti (o genitori o coniugi) più felici perché sentiremmo che stiamo facendo un buon lavoro e che c’è un futuro di idee davanti a noi senza limiti.
Credits: Foto di Stefan Keller da Pixabay