Di fronte ad un evento eccezionale ci vogliono misure eccezionali e coraggiose
Danni ingentissimi quelli provocati dall’alluvione in Emilia Romagna. Circa 100 i comuni coinvolti: 43 colpiti dalle alluvioni, 53 dalle frane in montagna e collina.
La stima, secondo quanto afferma la vicepresidente dell’Emilia-Romagna, ammonta a non meno di 5-6 miliardi.
Secondo Coldiretti sono almeno 5.000 le aziende agricole e gli allevamenti devastati dall’alluvione.
Cifre da capogiro destinate probabilmente a lievitare ancor più con un rischio occupazionale, sempre secondo Coldiretti, di almeno 50.000 posti di lavoro.
Per l’ennesima volta siamo qui a calcolare danni e vittime umane. Anziché diminuire, a partire dall’alluvione di Firenze del 1966, gli eventi collegati a fenomeni atmosferici aumentano costantemente.
Solo conseguenza dei cambiamenti climatici o incide anche l’incuria e la mancanza di programmazione dell’uomo?
Il condizionamento dell’atmosfera da parte dell’uomo con l’uso sfrenato e incontrollato delle risorse naturali è indubbio, lo scongelamento dei ghiacciai è altrettanto visibile e indiscutibile. Elementi che sicuramente contribuiscono a fenomeni atmosferici cui non eravamo abituati.
Ma l’uomo come sta intervenendo per gestire questi cambiamenti, per far fronte a precipitazioni concentrate?
Per capire quello che sta accadendo è indispensabile analizzare quello che è accaduto nel passato.
Nell’antico Egitto le piene del Nilo, che straripava periodicamente cospargendo le sue rive di limo, creavano un terreno fecondo che non richiedeva particolari attrezzature. Secondo le testimonianze dello storico Erodoto, bastava che dopo la piena si seminasse e si agevolasse sopra il passaggio degli animali in modo da calpestare i semi.
Oggi, dopo oltre 4.000 anni di storia ci troviamo impotenti difronte ai fenomeni atmosferici. Se però cerchiamo di analizzare gli interventi dell’uomo sul territorio possiamo ottenere più di qualche indizio sulle cause di quanto è accaduto.
Nessuno vuole negare i cambiamenti climatici, ma è il momento di porci alcune domande
Che ruolo ha la cementificazione diffusa?
Quali sono le responsabilità di una agricoltura sempre meno in sintonia con l’ambiente?
Se cerchiamo di esaminare alcuni aspetti legati alla gestione del territorio le domande non mancano.
Ci sono dei grandi fenomeni cui dobbiamo prestare attenzione. L’agricoltura è sempre meno in sintonia con l’ambiente, l’obiettivo è produrre sempre di più a scapito della qualità e della sostenibilità.
Se osservassimo la pianura padana dall’alto potremmo notare molte macchie giallastre dovute ad un eccesso di sfruttamento del terreno che richiede ogni anno un aumento delle quantità di concimazione chimica necessaria, ma soprattutto intere zone completamente spianate.
Le siepi, tipiche divisioni delle proprietà sono state sempre più divelte; i canali per l’irrigazione hanno lasciato spazio agli impianti di irrigazione a pioggia; i fossati di scolo, dove ci sono, vengono ricavati con l’uso di scavatori che realizzano opere dove l’acqua, anziché rallentare la propria forza, acquista velocità; gli invasi sono per almeno un terzo pieni di sedime che ne riduce la capacità di accumulo; i letti dei fiumi sono spesso, anche a seguito della siccità, pieni di detriti.
Il grande latifondo ha teso ad eliminare gli ostacoli, piante, terrapieni, argini cespugliati, senza prestare minimo interesse al trattenimento superficiale delle acque, tanto l’acqua viene presa da canali cementati o artificiali che aumentano la velocità del percorso.
La conurbazione del territorio ha portato ad edificare in luoghi per nulla sicuri
L’abbandono della montagna e delle zone collinari porta come conseguenza a probabili dissesti idrogeologici.
Nulla si crea e niente si distrugge, tutto si trasforma e le conseguenze le scopriamo nel tempo.
L’assenza di programmazione nella gestione del territorio unitamente alle attività speculative hanno creato dei nodi che stanno arrivando al pettine.
Ci saranno sicuramente periodi di tregua nei quali ci dimenticheremo di quanto accaduto in attesa del prossimo nubifragio o della prossima siccità, momento in cui andremo, per l’ennesima volta, alla ricerca dei colpevoli e delle responsabilità.
Un dato è chiaro: nell’antichità l’uomo costruiva degli equilibri nel rispetto delle leggi di natura, ora invece crede di essere diventato onnipotente e di poter disattendere ogni regola.
Qui si tratta di comprendere quanto sta accadendo a livello climatico e planetario mettendo sul tavolo le conoscenze e la tecnologia per governare l’ambiente e il territorio con una visione legata alla sostenibilità.
Di fronte a eventi eccezionali vanno prese misure eccezionali che richiedono una visione del futuro, cosa che la politica è oramai sempre meno disposta a fare perché deve pensare ai sondaggi quotidiani.
Per illustrare queste misure eccezionali prenderemo a prestito un appello lanciato da Susanna Tamaro e Andrea Segre al governo Gentiloni (Corriere della sera del 14.10.2017) e un successivo articolo sempre degli stessi autori sul Corriere della sera del 18 luglio 2019.
Il Reddito di Contadinanza
L’appello, parliamo di sei anni fa, sembra scritto oggi. Affermavano all’epoca, Susanna Tamaro e Andrea Segre:
L’agricoltura e le aree rurali del nostro Paese rappresentano un patrimonio straordinario che ancora non riusciamo a valorizzare al meglio nonostante vogliano dire: cibo, lavoro, salute, ambiente, paesaggio, cultura, turismo. Le tendenze degli ultimi decenni sono allarmanti: abbandono delle aree collinari e montane; invecchiamento degli agricoltori senza ricambio generazionale; aumento dei costi di produzione e diminuzione dei prezzi di vendita (i prodotti non si raccolgono neppure); scarsa formazione; assenza di servizi e infrastrutture (acqua, strade, scuole, ospedali, internet); un apparato burocratico-amministrativo che obbliga soprattutto a «coltivare carta».
I giovani
Altrettanto allarmante è la condizione dei giovani: un terzo dei ragazzi che vivono nel nostro Paese è in quel limbo che sta al di fuori dagli studi e ai margini del percorso lavorativo. Possibile che queste tendenze non si possano ribaltare, proprio facendo incontrare la terra e i giovani? Lavorare in campagna non è facile, non solo perché la «terra è bassa»: servono competenze e condizioni che favoriscano l’insediamento in un contesto sempre più difficile, anche dal punto di vista del cambiamento climatico e delle sue conseguenze estreme. D’altra parte non tutti ereditano la terra e/o possono studiare nei dipartimenti di agraria o negli istituti tecnici, anche se negli ultimi anni le iscrizioni sono aumentate. Alcune ricerche dimostrano che l’occupazione in campagna attirerebbe chi ha meno di 35 anni e non ha origini agricole: sono gli agricoltori di prima generazione. Anche altre figure potrebbero essere «richiamate» per la necessità di trovare un’occupazione.
Tre azioni
Concretamente cosa si potrebbe fare per questa nuova «contadinanza»? Tre azioni: formazione, reddito, semplificazione. Chi entra nel settore dopo aver studiato o fatto altro (o nulla), spesso non ha modo di tornare sui banchi. L’approccio va ribaltato: sono gli insegnanti che vanno nei campi, gli insediamenti agricoli diventano aule a cielo aperto. Va promosso un patto con le scuole agrarie superiori e universitarie affinché possano offrire, gratuitamente per i beneficiari, dei corsi per imprenditori agricoli direttamente sul campo. Delle moderne «cattedre ambulanti», quelle dove i professori alla fine dell’800 andavano nelle campagne e trasmettevano materialmente ai contadini i saperi agrari. La nuova «contadinanza» va guidata nella quotidianità e nelle difficoltà delle pratiche agricole sia tecniche che economiche. La teoria è importante ma la pratica è fondamentale per riuscire nell’impresa e garantire un reddito almeno «soddisfacente», come dicevano una volta gli economisti agrari. La seconda leva riguarda appunto il reddito. Che non è scontato, soprattutto per chi inizia e non viene dal mondo contadino. Ecco la seconda proposta: garantire ai giovani un reddito di contadinanza, un contributo limitato nel tempo che possa fungere da humus, da concime, aspettando che gli investimenti necessari a far decollare l’impresa possano generare i primi frutti.
La trappola
L’obiettivo — legando il reddito all’apprendimento — è quello di evitare la trappola mortificante dell’assegno da ritirare ogni mese per sopravvivere. Dobbiamo puntare a un incentivo che non intacchi la dignità di chi lo riceve, che non crei subalternità o dipendenza. Il reddito di contadinanza spezzerebbe questo circuito vizioso perché è legato all’operatività, al fare. Gli agricoltori producendo il cibo che mangiamo tutelano il nostro territorio e la nostra salute. Dobbiamo riconoscere questo valore, ed essere disposti — noi consumatori — a pagarlo. La terza leva, ma più che leva qui dovremmo usare il verbo levare, riguarda la semplificazione burocratica-amministrativa. Se ne parla da anni, tutti i governi che si succedono fanno delle promesse che poi non mantengono. Il carico di carta da coltivare aumenta a dismisura, con i relativi costi non solo economici ma anche di tempo. Si è sviluppato un apparato parassitario che si autoalimenta. Facciamo una moratoria: eliminiamo tutta la carta, facciamo dialogare le banche dati. Ribaltiamo il principio che tutti vogliono fregarci. Per una volta pensiamo che stanno semplicemente cercando di fare. I costi di questi interventi andranno accuratamente stimati. Pensiamo però che possano essere inferiori rispetto ai benefici ottenibili in termini di salvaguardia della natura, dell’agricoltura che ne fa parte, di prevenzione dei disastri ambientali e del lavoro che la nostra Costituzione vorrebbe garantire a chi non lo ha e in particolare ai giovani.
Veniamo alle misure eccezionali necessarie oggi.
Anche alla luce della necessità di rivedere il reddito di cittadinanza, si potrebbe lanciare un grande progetto che ponga al centro un’agricoltura sostenibile e la difesa del territorio con il coinvolgimento di 500 mila giovani.
Giovani e meno giovani disponibili a impegnarsi in agricoltura sviluppando dei piani di miglioramento aziendale per le proprie aziende o attivando nuovi progetti imprenditoriali in agricoltura nel rispetto di pochissime regole: sviluppo di un’agricoltura sostenibile, impegno a rispettare un progetto di tutela del territorio attraverso la manutenzione delle strade vicinali, dei fossati, delle siepi, degli argini dei fiumi. Accesso al credito con garanzie statali per l’acquisto di attrezzature necessarie per tali compiti.
A fronte di questo impegno la corresponsione di un reddito di contadinanza pari a € 2.000 per 36 mesi.
Dodici miliardi l’anno per un grande programma di tutela del territorio e di ripresa dell’agricoltura che impedisca lo spopolamento delle campagne, metta in moto un nuovo volano economico e faccia diventare questo meraviglioso paese il giardino d’Europa.
Qualcuno obietterà: dove li troviamo tutti questi soldi? Qui dovremmo aprire un capitolo sul debito pubblico e sulla moneta, ma intanto basterà un’altra domanda per dare risposta. Dove li troviamo i soldi per riparare a tutti i danni che periodicamente accadono?
Qui si tratta di ritornare ad una politica capace di visione e di programmazione. La proposta del Reddito di Contadinanza incide sull’abbandono delle zone collinari e montane, sullo spopolamento delle campagne, sulla gestione del territorio impedendo i dissesti idrogeologici, ridarebbe vita a un settore in fin di vita. Oggi, spesso, per un agricoltore è più conveniente ricorrere ai contributi della PAC piuttosto che raccogliere il prodotto e andando di questo passo avremo rinunciato anche alla capacità di produrre il cibo che ci necessita. Il passo verso la completa sudditanza e sottomissione si sta già compiendo.