Da decenni sentiamo parlare di possibili cure contro il retrovirus dell’HIV e ogni volta sembra che la soluzione definitiva sia più vicina. Certo, i progressi fatti nel campo della medicina moderna non avvengono dall’oggi al domani: servono verifiche, sperimentazioni e fallimenti per ottenere risultati, e di passi avanti ne sono stati fatti parecchi in questi decenni.
Oggi, grazie alle terapie antiretrovirali, l’aspettativa di vita di un sieropositivo è paragonabile a quella di una persona sana; quello che i ricercatori stanno però provando a sviluppare è un vaccino che sostituisca definitivamente le suddette terapie e che possa prevenire e finalmente debellare la malattia.
Questa nuova strategia vaccinale, denominata germline-targeting, è stata di recente pubblicata e descritta sulla autorevole rivista Science. Il problema principale per la produzione di un vaccino contro l’Hiv è che ci si trova davanti a un virus molto mutevole e con innumerevoli varianti (vi ricorda qualcosa?), ma più di un decennio fa alcuni ricercatori hanno scoperto alcuni anticorpi, presenti negli animali e nell’uomo, in grado di neutralizzare molti di questi ceppi.
Li hanno chiamati bnAbs che sta per broadly neutralizing Antibodies (cioè anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro). È molto difficile indurre questi anticorpi attraverso un vaccino, poiché essi si sviluppano molto raramente e rari sono i linfociti da cui hanno origine. Procedendo però con la stimolazione dei linfociti B, precursori dei bnAbs, potrebbe essere possibile aumentare questi ultimi all’interno dell’organismo nel corso del tempo (da qui il termine germline-targeting).
La storia della nostra medicina ci insegna (almeno dovrebbe) che la strada per la realizzazione di un vaccino richiede anni, anzi decenni. Ricordiamo che i primi tentativi di ottenere un vaccino contro la poliomielite cominciarono nel secondo decennio del XX secolo ma solo nel 1955 se ne annunciò al mondo la scoperta da parte di Joan Stalk (iniezione) e nel 1957 da Albert Sabin (assunzione orale). Procedendo a ritroso nel tempo, ogni scoperta in quest’ambito è stata costellata di tentativi e fallimenti nel corso di parecchi anni di sperimentazioni.
Allora, la domanda che ci si pone è: com’è stato possibile creare un “vaccino” contro il SARS-CoV-2, più comunemente conosciuto come Covid-19, in così pochi mesi? Qualcuno potrebbe rispondere che ciò sia stato possibile grazie alle moderne e più avanzate tecnologie. Beh, se così fosse, allora non credo sarebbe ancora un siero in fase sperimentale.
Ciò che mi rimanda indietro nel tempo con la mente, stavolta non verso gloriose scoperte scientifiche ma verso il ventennio più nefasto della storia contemporanea, è la persecuzione, la stigmatizzazione e la ghettizzazione che ogni giorno, ormai da due anni a questa parte, i cosiddetti “no-vax” subiscono dalle istituzioni, dal mainstream e di conseguenza da una buona fetta della popolazione, quella fidatasi di una “scienza” divenuta dogma di fede.
A parer mio, chi in piena coscienza ha deciso di non fare del proprio corpo una cavia da laboratorio non è contro i vaccini, semmai è a favore della vita; anche perché, in caso di contagio da Covid-19, questa minoranza è ricorsa proprio alla medicina, quella dei metodi più collaudati e molto meno invasivi, mentre la maggioranza ricorreva (molti perché sotto minaccia di perdita di lavoro e stipendio) a rimedi consigliati da chi, invece di passare giorno e notte in ospedale, se ne andava in giro tra uno studio televisivo e l’altro diffondendo il terrore e al contempo il verbo imposto dalle case farmaceutiche, dalle quali -guarda caso – era spesso in qualche modo sovvenzionato.
I pochi casi di insuccesso delle terapie domiciliari sono stati causati dal fatto che alcuni pazienti hanno deciso di contattare il medico quand’era ormai troppo tardi, evidentemente perché vittime di mala informazione e mala sanità… ricordate le prime raccomandazioni degli “esperti” per la “vigile attesa”?
Qualcuno potrebbe obiettare che l’Hiv è tenuto sotto controllo dai farmaci e che anche il virus Sars-Cov-2 lo sarebbe, se tutti si inoculassero il siero magico. A costoro rispondo invitandoli a guardare ai risultati ottenuti dalle terapie “tradizionali” appena menzionate, che hanno salvato decine di migliaia di vite. Mi riferisco alle cure domiciliari adottate, per fortuna, da molti medici, prima fra tutte la plasmaferesi del defunto professor De Donno. E aggiungo che di recente anche la stessa Pfitzer ha candidamente ammesso che il proprio prodotto non è mai stato testato per prevenire i contagi.
Anche leggendo i bugiardini dei sieri in questione e il foglio del consenso informato, appare chiaro che non si conoscono con certezza le conseguenze che queste terapie geniche sperimentali potrebbero dare nel breve, medio e lungo termine. Conseguenze che – ahimè – stanno venendo inevitabilmente a galla giorno dopo giorno.
Allora cosa si nasconde dietro queste evidenti contraddizioni? Sono soltanto meri interessi economici oppure c’è un programma molto ben orchestrato? Il passaporto verde ha già cominciato ad abituarci a una forma di “libertà differenziata”, nella quale chi si fa il tagliando periodico è libero di circolare (e di contagiare e contagiarsi), mentre i riottosi sono additati al pubblico ludibrio. È esagerato il paragone con la tessera del Fascio?