Se non siete appassionati di basket, probabilmente il nome di Iciss Tillis non vi dice niente. Ma lei, oltre a essere una star del basket – alta quasi un metro e novanta – era nota per il suo particolare rapporto con il padre. Infatti, nel suo armadietto teneva quasi religiosamente una foto proprio di suo padre, James Tillis. Un tributo a un genitore esemplare? Un complesso di Edipo ancora non superato? No. Era esattamente il contrario. «Quella foto», diceva Iciss, «è un promemoria di tutto quello che spero di non essere mai».

Certo di motivi per avercela con il padre non le mancavano, visto che lui l’aveva abbandonata quando era ancora piccola. Ma non era il suo disinteresse di padre che lei gli rimproverava. James Tillis era stato a sua volta uno sportivo. Aveva praticato il pugilato a livello professionistico vent’anni prima. Nel 1981 aveva combattuto per il titolo mondiale dei pesi massimi; nel 1986 era stato il primo pugile a resistere sino alla decima ripresa contro Mike Tyson, che è tutt’oggi considerato uno dei migliori pugili di tutti i tempi (fu campione del mondo dei pesi massimi dal 1986 al 1990); ma non raggiunse mai i vertici del suo sport. Ecco la ragione del risentimento della figlia che rimproverava al padre di essere stato “una mezza misura”. Il terrore di Iciss era appunto quello di diventare una sportiva incapace di raggiungere il vertice.
Gli psicologi definirebbero questo suo comportamento come sindrome del “o riesco a distinguermi dagli altri giocatori oppure sono un nessuno”. Lo riconoscete? Lo avete mai pensato anche voi: “Se vinco sarò qualcuno, se perdo non sarò nessuno”? In una società come quella attuale dove le offese più volgari sono accettate come normali, l’etichetta di “fallito” rimane quella che più ci brucia. La paura di fallire è probabilmente la principale ragione per la quale la maggior parte delle persone nemmeno prova a iniziare un progetto che le sta a cuore. Sia esso una nuova dieta, lo studio di una lingua straniera, cambiare tipo di lavoro o avviare un’attività imprenditoriale. Fare qualcosa senza raggiungere il successo, senza distinguersi dagli altri, senza “vincere” è la prova che siamo dei “signor nessuno”, che – appunto – siamo dei falliti. Dimentichiamo, così facendo, che noi siamo dei nessuno semplicemente quando non facciamo niente per migliorare.
Iciss avrebbe dovuto ammirare suo padre per il fatto che ci aveva provato, anziché disprezzarlo per non esserci riuscito. Come ha detto Carol Dweck, una delle maggiori autorità mondiali nel campo degli studi sulla personalità: «I veri campioni non vengono influenzati dalle sconfitte o dalle vittorie. I veri campioni sono persone che ci provano sempre con tutte le loro forze». Se nella vita ci avremo provato con tutte le nostre forze allora sì che saremo “qualcuno”.
Approvo questo concetto. E mi piacciono gli articoli che sanno esprimere molto in modo conciso, complimenti.
Laura Bressan