Dall’inizio di luglio piovono avvisi di accertamento, intimazioni di pagamento, pignoramenti presso terzi. Il proverbio dice “piove sempre sul bagnato”. In questo caso l’alluvione sta colpendo chi già stava soffrendo per la siccità.
I dati sono come sempre diversi, ma comunque drammatici: secondo l’ISTAT sono 4 milioni gli italiani che hanno difficoltà a curarsi per mancanza di risorse economiche, secondo altre fonti la cifra si attesterebbe a oltre 10 milioni.
Nelle città i banchi alimentari sono sempre più diffusi. Sempre dati ISTAT, sono circa 6 milioni gli italiani sotto la soglia di povertà; 23 sono invece i milioni di italiani debitori a vario titolo verso Agenzia delle Entrate e riscossioni.
A marzo 2023 il totale delle rate non pagate da quasi un milione di famiglie italiane si è attestato a quasi 15 miliardi.
Quante siano le aziende che hanno chiuso o stanno chiudendo è sotto gli occhi di tutti. Basta osservare le serrande chiuse dei negozi e i capannoni vuoti nelle zone industriali.
Secondo la CGIA di Mestre la pressione fiscale nel 2022 ha raggiunto il record: 43,8% del PIL. Percentuali capaci di ammazzare qualsiasi piccolo imprenditore.
Il magazzino dei crediti non riscossi da Agenzia delle Entrate dall’anno 2000 ad oggi ha sfondato il tetto dei 1.153 miliardi, ma secondo il direttore della stessa, meno di 100 sono quelli esigibili perché i debitori sono per lo più in fin di vita e quindi non più nelle condizioni di pagare.
In estrema sintesi questa è la fotografia del paese oggi.
Vi sembra lo spaccato di un paese che nel 1990 era diventato la quarta nazione più industrializzata del mondo o piuttosto quello di un paese in guerra?
Immaginiamo, ora, una famiglia con i genitori che non sono nelle condizioni di garantire un dignitoso livello di vita ai propri figli: interverrebbero gli assistenti sociali e spesso accadrebbe che venga tolta la patria potestà, dando in affido i figli ad altre famiglie o inserendoli in strutture protette.
È un ragionamento logico, ma qualsiasi regola per essere equa dovrebbe essere applicata sempre allo stesso modo.
Proviamo ora a fare una traslazione o un sillogismo: immaginiamo che lo stato rappresenti la famiglia e i cittadini i figli.
Se lo stato/famiglia si trovasse nelle condizioni di non poter garantire i diritti basilari dei propri cittadini/figli, cibo, vestiti, scuola, salute, lavoro, quali provvedimenti dovremmo prendere?
Se applichiamo la medesima regola, sarebbe naturale conseguenza che venisse tolta la patria potestà, cioè i diritti che lo stato vanta sui propri cittadini/figli e che di conseguenza decadessero tutti gli obblighi dei cittadini/figli verso lo stato/famiglia.
Ve lo immaginate quel padre di famiglia che avendo accumulato una montagna di debiti a causa di una cattiva gestione del proprio bilancio famigliare, pretende che ogni mese i figli gli consegnino l’intera busta paga lasciandoli senza cibo, senza cure sanitarie in caso di malattia, senza la possibilità di costruirsi una casa, senza prospettive per il futuro?
E cosa possiamo dire di uno stato che sta togliendo il sangue ai propri cittadini attraverso un sistema fiscale ingiusto, un sistema di recupero dei crediti che assomiglia sempre di più agli usurai, un sistema delle banche cui è permesso di creare la moneta dal nulla arricchendosi sulla pelle di chi oramai è ridotto allo stremo?
Oggi questo stato non è più in grado di garantire i diritti fondamentali ai propri cittadini in nome di regole economiche inesistenti, ma pretende comunque il rispetto degli obblighi che dovrebbero nascere solo a seguito dei diritti.
E tutti noi rimaniamo passivi e succubi come se fosse un fenomeno tellurico verso il quale non possiamo fare nulla.
In altre parole, non abbiamo il diritto al lavoro, alla salute, alla casa, a una vita dignitosa, ma abbiamo l’obbligo di consegnare tutti i nostri guadagni nelle mani dello stato/padre padrone e se non gli consegniamo ogni mese la busta paga, passa lui a prendersela attraverso l’istituto del pignoramento presso terzi, del pignoramento del conto corrente e, non bastasse, ci mette pure il fermo amministrativo sull’auto che utilizziamo per andare al lavoro.
Fossimo in un altro paese le piazze sarebbero già incendiate, ma invece siamo qui, nel paese in cui i sindacati difendono i loro privilegi non i diritti dei lavoratori, l’imprenditore che paga gli stipendi piuttosto che le tasse è considerato un evasore, le associazioni datoriali difendono la grande impresa e non il piccolo imprenditore che per salvare la propria azienda e garantire lo stipendio ai propri collaboratori ha ipotecato anche la casa e ha fatto sottoscrivere fidejussioni anche alla moglie e ai propri figli.
C’è qualcosa che non va, ma se continuiamo a stare alla finestra aspettando il messia allora vuol dire che non abbiamo ancora raggiunto il fondo e ce lo meritiamo.
La costituzione all’articolo 1 recita: l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione.
Se non la esercitiamo non potremo poi lamentarci quando ci troveremo con la casa all’asta e la miseria avrà colpito ognuno di noi.