Circa un individuo su dieci sopravvive con meno di 1,90 dollari al giorno. La stragrande maggioranza risiede nell’Africa subsahariana.
Tenendo conto del diverso potere d’acquisto di ciascuno Stato, al giorno d’oggi circa l’85 per cento della popolazione globale vive con meno di 30 dollari al giorno, due terzi vivono con meno di 10 dollari al giorno e un individuo su dieci con meno di 2 dollari al giorno. Quando parliamo di dollari ci riferiamo, in questo caso, al dollaro internazionale, una valuta immaginaria che permette di eludere, appunto, le differenze nel potere d’acquisto tra i vari Stati.
Ma quanto è estesa la povertà nel mondo e dove colpisce maggiormente? Ha cercato di rispondere, in un articolo, il sito Our World in Data, un ente fondato e diretto dal ricercatore dell’Università di Oxford Max Roser.
La Banca Mondiale, principale fonte di informazioni sulla povertà estrema, dal 2015 stabilisce la soglia di povertà a 1,90 dollari al giorno. Questa misura della povertà si basa sul valore monetario del consumo di una persona.
Una delle principali difficoltà nella misurazione della povertà globale è che i livelli dei prezzi sono molto diversi nei differenti Stati: per questo motivo non è sufficiente convertire semplicemente i livelli di consumo delle persone nei singoli Paesi per il tasso di cambio di mercato, ma bisogna anche adeguare le differenze nel potere d’acquisto. Va inoltre considerato che la soglia di povertà è estremamente bassa: concentrarsi su questa soglia permette quindi di focalizzarsi sui più bisognosi, ma anche sopra questa soglia ci sono comunque persone che vivono in situazioni caratterizzate da povertà e difficoltà.
Come è distribuita la povertà assoluta
- La povertà mondiale è in gran parte concentrata nel continente africano e nell’Asia meridionale. Nell’Africa subsahariana, la maggior parte dei paesi ha più del 50% della popolazione sotto la soglia di povertà assoluta.
- In Asia, circa il 10% della popolazione indiana, il 4% di quella pakistana e il 9% di quella del Laos vive con meno di 1,9 dollari al giorno.
- Nell’America Meridionale, in Brasile, Bolivia, Colombia e Venezuela tra il 3 e il 6% della popolazione è sotto la soglia di povertà.
- In Europa, la Macedonia del Nord è il paese con la maggior quota di popolazione sotto la povertà assoluta (3,3%), seguita dal Montenegro (2,2%).
Già nel 2000 tutte le nazioni del mondo si sono impegnate a ridurre la povertà, ma quest’obiettivo non è stato raggiunto.
Anche in Italia, al giorno d’oggi, e in altri paesi cosiddetti “avanzati”, le sacche di povertà e le disparità sociali si stanno allargando. Forse noi non lo sappiamo, visto che al telegiornale mandano in onda sempre le solite notizie, oppure facciamo finta di non saperlo, ma ci sono persone che quotidianamente nelle nostre città soffrono e lottano contro la fame per cercare di sopravvivere. Basta poco purtroppo per finire nel baratro: la perdita del lavoro, della casa, una malattia, e non ci si rialza più se non con difficoltà, soprattutto in questo periodo di forte crisi economica.
Come è cambiata la povertà nel tempo
La Banca Mondiale ha iniziato la sua inchiesta a partire dal 1981, raccogliendo le informazioni sulla povertà e lo sviluppo economico presso i vari paesi del mondo, per poi trarre i risultati riguardo i consumi giornalieri delle famiglie e individuare, così, il limite oltre il quale si arriva alla povertà estrema.
Purtroppo, non abbiamo veri e propri dati empirici prima del 1981, ma i ricercatori sono riusciti a fare una stima del reddito sulla base delle informazioni riguardo la produzione economica di quegli anni. Di particolare importanza sono stati gli studi di Bourguignon e Morrison, che hanno portato avanti una ricerca riguardo la “Disuguaglianza tra i cittadini del mondo”, tra il 1820 e il 1992.
Possiamo, comunque, notare come negli ultimi quarant’anni, la percentuale dei poveri nel mondo sia scesa drasticamente: secondo le indagini, se i numeri di oggi corrispondo al 9,2% della popolazione globale, nel 1981 la quota delle persone che vivevano in condizioni di estrema povertà raggiungeva il 43%.
Guardando i numeri assoluti, si vede che a inizio degli anni ‘80 c’erano quasi 2 miliardi di persone che vivevano in condizioni di povertà estrema e ora sono circa di 700 milioni.
Un importante contributo alla riduzione della povertà mondiale è legato alla Cina, che è lo Stato più popoloso del mondo. Nel 1981 circa l’88 per cento della popolazione cinese viveva in condizioni di estrema povertà e, secondo le ultime stime, oggi in Cina la povertà estrema – misurata allo stesso modo – è scesa al di sotto dell’1%.
Come possiamo quindi eliminare la povertà nel mondo? Tante sono state le iniziative messe in campo per attuare politiche di aiuto verso quei Paesi che non riescono a garantire alle proprie popolazioni un minimo fabbisogno di sussistenza.
Tra queste troviamo l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, firmata dall’ONU nel 2015 con la volontà di far fronte a diverse e importanti problematiche presenti in tutto il mondo. È un programma che ha come traguardo il raggiungimento di diciassette obiettivi entro il 2030, primo fra tutti quello di “sconfiggere la povertà nel mondo”.
All’interno di questo primo proposito sono presenti varie promesse tra cui:
- Dimezzare il numero di poveri nel mondo;
- Garantire beni e servizi primari e uguali opportunità di accedere alle risorse economiche a tutta la popolazione globale;
- Fornire mezzi e risorse adeguati ad aiutare i paesi meno sviluppati o in via di sviluppo.
Tra gli altri obiettivi troviamo quelli rivolti a superare molte delle conseguenze dirette della povertà: come sconfiggere la fame, assicurare salute e servizi igienico-sanitari di qualità, fornire un adeguato livello di istruzione, dare la possibilità di avere un lavoro dignitoso.
Quindi, arrivare alla concretizzazione del primo obiettivo significherebbe essere più vicini anche alla realizzazione dei seguenti, curando così il problema alle radici.
L’Agenda 2030 è stata istituita, fin da subito, con il compito di portare all’attenzione globale i temi centrali sui quali si dovrà basare uno sviluppo sostenibile reale.
Quali sarebbero gli strumenti per rendere il pianeta un posto più vivibile per tutti?
Leggendo e studiando tutti i “buoni propositi” dell’AGENDA 2030 ci si rende conto che le azioni, gli strumenti non vengono quasi mai menzionati e rendono la lettura della stessa un “romanzo” di buone intenzioni: i dati di fatto a oggi ci dicono tutt’altro.
Secondo i dati ufficiali, in 25 anni oltre un miliardo di persone sarebbe uscito dalla povertà. Ma Philip Alston, già Relatore speciale delle Nazioni Unite, punta il dito contro il «trionfalismo fuori luogo»: quei dati sono fuorvianti e insistere sulla collaborazione con i privati non è poi così utile.
Il mondo sta perdendo la lotta contro la povertà. È durissima l’accusa lanciata da Philip Alston, professore di legge alla New York University, nell’ultimo rapporto che ha redatto in veste di Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani (incarico che Alston ha ricoperto tra il 2014 e il 2020) e che è stato presentato al Consiglio per i diritti umani Onu il 7 luglio 2020.
In termini percentuali, oggi il 10% della popolazione mondiale vive in condizioni di povertà contro il 36% del 1990. Risultati che sono basati sull’indicatore adottato dalla Banca Mondiale (l’International poverty line) che fissa la soglia della povertà a 1,90 dollari al giorno. Tuttavia, scrive Alston, basare la lettura di un fenomeno così complesso solo su questo indicatore restituisce un’immagine fuorviante del progresso globale contro la povertà.
Inoltre, la soglia di povertà fissata dalla Banca Mondiale è molto più bassa rispetto a quella dei singoli Paesi. Di conseguenza, il numero di poveri sarà più basso. Negli Stati Uniti, ad esempio, le persone che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno sono l’1,2% della popolazione, ma se guardiamo all’indicatore nazionale, la quota dei poveri sul totale della popolazione sale al 12,7 per cento. In Sudafrica il rapporto passa dal 18,9% al 55%, in Messico dall’1,7% al 41,9 per cento.
La crescita economica è al cuore degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, considerata la chiave per l’eradicazione della povertà. «Ma dopo decenni di crescita economica senza precedenti, i principali beneficiari sono stati i più ricchi. Invece di mettere fine alla povertà, la crescita sfrenata ha prodotto disuguaglianza estrema, precarietà diffusa in un mondo di abbondanze e si chiede il tributo maggiore ai poveri del mondo», scrive Alston.
L’ex relatore delle Nazioni Unite critica anche la diffusa insistenza, spinta in gran parte dalle politiche della Banca Mondiale, sul settore privato nella riduzione della povertà, dicendo al Guardian che ci sono poche prove che sia più efficiente: finanziare gli obiettivi di sviluppo sostenibile attraverso una sempre maggiore dipendenza dal settore privato e attraverso partenariati pubblico-privato «è un vicolo cieco. Troppe promesse “vincenti” sono “favole”. Invece le multinazionali e gli investitori traggono profitti garantiti dalle casse pubbliche, mentre le comunità povere sono trascurate e poco servite»