Sanremo 2023, quando la musica dimentica l’arte

Luigi Vietri

La Musica è per antonomasia lo specchio della società da cui proviene, come e più di tutte le altre forme d’arte. Non c’è bisogno di andare troppo indietro negli anni per ricordare come fosse la nostra società, ad esempio tra la fine degli Anni ’60 e ’70: un turbinio di idee rivoluzionarie, emanazione di ribellione sociale e politica; sono gli anni in cui il rock, in tutte le sue forme (dal classic all’heavy metal, passando per il prog), la fa da padrone.

Più avanti, negli Anni ’80, qualcosa comincia a mutare e lo fa in maniera repentina: la “roccia” perde, a tratti, la sua leadership e comincia a farsi contaminare da elementi di altri generi: il pop, la dance, spesso fusi tra loro, ci descrivono un mondo più inconsapevolmente lascivo, sempre più ricco di stereotipi (chi non ricorda il “mitico” rullante riverberato?), di uno stile di vita appariscente, spesso ostentatamente benestante, ma a tratti ancora intriso di un certo spirito critico e combattivo.

Caratteristica, quest’ultima, che sembra voler riemergere negli Anni ’90 ma che si rivela una forma, più che di protesta, di sfogo di condizioni sovente miserabili. Certo, la Musica (con la M maiuscola), quella di qualità, quella che unisce l’effabile e l’ineffabile, non morirà mai; ma ce n’è sempre meno, e quasi mai fa capolino tra i media, dai cui megafoni spicca qualcosa che è sì musica (in quanto “successione ordinata di suoni”), ma di certo non è arte.

La nostra più famosa manifestazione “canora” (le virgolette ormai sono d’obbligo), Sanremo, copertina di un passato fatto di Musica e Testi che hanno conquistato il mondo, non fa eccezione. Potrei spendere migliaia di parole in merito ma lascerò al lettore la visione di questo video ben esplicativo di Silver Nervuti di un paio di anni fa, da cui si evince come il decadimento sia fatto anche di incoerenza e menzogne.

Oggi quelle note e quei testi che ci facevano accapponare la pelle (ve la ricordate quella sensazione?) sono diventate forme banali di espressione, senza un minimo di articolazione e quel “qualcosa da dire” dell’artista si può ora riassumere in una sola parola: piattume. Piatto come le linee melodiche senza forma che sempre più siamo abituati ad ascoltare; piatto come l’auto-tune che fa sentire “cantanti” anche le persone meno intonate; come i testi scadenti dove il linguaggio volgare gratuito è diventato sinonimo di libertà e dove perfino l’abbigliamento ambiguo ha perso di significato.

Insomma, ancora una volta espressione della contemporaneità, ma stavolta di un mondo che si avvicina sempre più all’abisso e che, testa bassa, auricolari su e occhi sullo smartphone, non guarda più dove dirige i suoi passi.

Dovremo attendere un’altra fine per sperare in un ennesimo inizio, oppure stavolta si potrebbe pensare di rialzare lo sguardo in tempo?

Condividi:

Luigi Vietri

Luigi Vietri

La musica (il mio strumento è la chitarra), i concerti e le registrazioni, tra cui un paio di album incisi, mi hanno accompagnato dall'età di 16 anni fino allo scoppio del caso "Covid-19", quando tutto si è fermato.
Non sono mai stato sostenitore del pensiero unico. Credo nella Scienza, cioè nel metodo scientifico costruito sul dubbio e sul confronto.

Sottoscrivi
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti
Leggi gli articoli completi

Associati a Comunità Etica

Non ospitiamo pubblicità né richiediamo abbonamenti. La nostra rivista vive solo delle quote associative e delle donazioni a Comunità Etica.

Con la tua adesione avrai accesso agli articoli completi e contribuirai alla crescita di questo giornale e della nostra Comunità.

Per una Società del Ben d'Essere

Contatti

Ci trovi qui:

Scrivi un messaggio o invia un comunicato