Nel febbraio del 2014 la Federazione Russa, in risposta alla rivoluzione di piazza Maidan – che sancì la cacciata del Presidente ucraino filorusso Janukovyč e la conseguente sterzata ad Occidente di Kiev – invadeva e annetteva la penisola di Crimea senza colpo ferire. Nel perpetrare l’annessione della strategica penisola eusina, Mosca non faceva altro che sostanziare nuovamente un punto fermo della politica estera russa dai tempi di Caterina la Grande: assicurare alla Russia lo sbocco ai mari caldi. Geograficamente piazzata al vertice centrale del Mar Nero e ospitante la flotta russa operante nelle acque eusine, la Crimea è per la Russia bastione strategico imprescindibile per il controllo dell’area disputata.
La centralità geopolitica del Mar Nero ha ottenuto nuovo lustro dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale del febbraio 2022. Nella visione strategica di Mosca del conflitto, l’estromissione dell’Ucraina dall’accesso al mare, avrebbe reso il Nero uno specchio d’acqua ad uso esclusivo russo-turco. La fallita presa di Odessa ha però stravolto i piani russi di monopolizzazione della costa eusina del Nord. Al contrario, se l’Ucraina riuscirà a mantenere il saldo controllo degli Oblast di Mikolaiv e di Odessa, è plausibile affermare che la stessa deciderà di dotarsi di una propria flotta militare al termine delle ostilità. La presenza di una marina militare ucraina nelle suddette regioni andrebbe a minacciare direttamente la flotta russa ancorata nella base di Sebastopoli in Crimea.
Tuttavia, le preoccupazioni per Mosca potrebbero non limitarsi solo all’ipotetica creazione di una flotta ucraina nel Mar Nero. Due stati membri della NATO si affacciano sul lato Ovest del disputato specchio d’acqua eusino: Romania e Bulgaria. Nonostante le loro scarse capacità navali, la loro posizione geografica imprime a questi due paesi un (potenziale) ruolo primario nel contenimento marittimo della flotta russa.
Il regime d’accesso delle navi militari dei paesi non rivieraschi del Mar Nero, disciplinato dalla Convenzione del 1936 siglata nella cittadina svizzera di Montreux, garantisce di fatto a Bucarest e a Sofia diritti unici rispetto agli altri membri NATO. Ai paesi non rivieraschi è precluso il passaggio alle navi che superino le 40.000 tonnellate e la permanenza non può superare i 21 giorni consecutivi. In tempo di guerra la Turchia, in base alla Convenzione, può precludere l’accesso al naviglio dei paesi belligeranti. Dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale, Ankara ha chiuso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli alle navi militari, rendendo l’accesso al Mar Nero di navi NATO provenienti da stati non rivieraschi di fatto impossibile.
La Romania, che brilla tra i paesi europei per la sua postura filo-americana e che richiede apertamente una maggiore presenza della NATO nella regione, non può però appaltare completamente la difesa delle proprie coste e del Mar Nero agli altri membri dell’Alleanza Atlantica, date le limitazioni di Montreux.
La sua esiguità navale, ricomprendente solo poche fregate più altre unità minori confacenti solo al pattugliamento delle proprie coste, dovrebbe essere superata per ragioni di carattere geopolitico ed economico. Geopoliticamente, l’accrescimento della flotta navale romena sarebbe perfettamente in linea con la postura che Bucarest ha adottato in politica estera. La volontà di accrescere la propria partecipazione ed il proprio peso specifico in seno alle istituzioni sovranazionali di cui la Romania fa parte, tra cui la NATO, passa anche dal maggiore peso militare garantito da una flotta adatta a mitigare l’egemonia russa sul Mar Nero.
A sud dell’Isola dei Serpenti, divenuta celebre durante i primi giorni di guerra in Ucraina, nella Zona Economica Esclusiva romena, sono state scoperte importanti riserve di gas naturale, quantificabili in circa duecento miliardi di metri cubi. Attualmente la Romania è il maggior produttore di gas naturale dell’Unione Europea e le recenti scoperte a Sud dell’Isola dei Serpenti non fanno che consolidare il suo primato gasiero. L’assertività navale russa nella regione minaccia direttamente i giacimenti romeni, pertanto il rafforzamento della flotta è elemento imprescindibile per la sicurezza economica di Bucarest. Non solo, l’estrazione del gas romeno aiuta l’Unione Europea a smarcarsi dai ricatti gasieri di Mosca, pertanto la questione assume rilevanza strategica per tutta l’Europa schierata contro la Russia.
Analoga a quella romena è la situazione degli assetti navali bulgari per qualità e numeriche.
Eppure, in Bulgaria la situazione risulta essere maggiormente complicata, complice una frammentazione politica e sociale che tende a semi-paralizzare il paese nelle scelte da adottarsi nel conflitto in corso. Sofia è stata, assieme a Varsavia, tra le prime a sperimentare i tagli del gas russo dall’inizio del conflitto. Come la Polonia, si è da subito prodigata ufficiosamente nell’inviare armi di fabbricazione sovietica in Ucraina, soprattutto nelle prime fasi del conflitto. Eppure, ufficialmente il paese è complice con l’Ungheria nell’osteggiare gli aiuti a Kiev in sede NATO. Questa postura dicotomica è emblema della parcellizzazione che caratterizza la società bulgara. Da un lato, soprattutto nelle principali città, prevale l’anima europeista, filo-atlantista. Dall’altro, radicato soprattutto nelle periferie, prevale la tradizione e l’ortodossia, richiamanti al passato sovietico e ai forti legami con la Russia. Sentimenti cementati dal contributo che la Russia zarista diede all’indipendenza bulgara nel 1908 dall’occupante ottomano. Il sentimento nei confronti di Mosca è specchio di questa anima bifronte: da una parte Sofia non applica la totalità delle sanzioni varate dal blocco occidentale nei confronti della Russia, complice la dipendenza dal gas russo del paese. Dall’altro si distingue per azioni di estrema risolutezza nei confronti di Mosca. Esemplari sono stati gli episodi che hanno portato al blocco del South Stream – gasdotto che avrebbe connesso la Russia all’Europa Balcanica e l’Italia passando per la Bulgaria – a seguito dell’annessione russa della Crimea nel 2014; nonché la recente chiusura del proprio spazio aereo ai velivoli russi, tra cui quella che ha impedito il sorvolo al Ministro degli Esteri russo Lavrov durante il suo viaggio diplomatico in Serbia nel giugno 2022.
In aggiunta al quadro frammentato già dipinto, la Bulgaria preferisce spendere i suoi denari pubblici nel controllo dei confini terrestri. I flussi migratori provenienti dalla Turchia hanno imposto a Sofia la costruzione di barriere fisiche che impedissero l’attraversamento del confine da parte di immigrati irregolari. L’ammodernamento e il rafforzamento della flotta vengono posti in uno stato di subalternità rispetto al controllo dei confini terrestri. Emblematica in tal senso fu la cancellazione dell’ordine delle corvette classe Gowind nel 2009. Inizialmente la Voennomsrki sili na Bălgarija (marina militare bulgara) aveva ordinato 4 delle corvette prodotte dal consorzio industriale francese Naval Group. Ordine poi ridimensionato a sole 2 unità l’anno successivo, con cancellazione totale dello stesso nel 2009 per problemi di budget. Nel 2014 la Bulgaria finanziava la costruzione di barriere fisiche al confine con la Turchia, funzionali al contenimento dei flussi migratori. La spesa di svariati milioni di euro (comunque sensibilmente inferiore rispetto al costo delle corvette francesi) mostra come la sensibilità per la difesa dei confini bulgari sia primariamente terrestre.
Nonostante le carenze marinaresche dei due paesi est-europei, Romania e Bulgaria formano parte integrante della NATO ormai dal 2004. La loro appartenenza all’Alleanza Atlantica è ampiamente supportata dalla maggioranza delle rispettive popolazioni e la progressiva crescita di importanza del Mar Nero avrà come diretta conseguenza il rincaro della pressione di Washington verso Bucarest e Sofia per un aumento della partecipazione di questi due paesi al contenimento russo. I paesi NATO contribuiscono al pattugliamento aereo del bordo occidentale del Mar Nero, attraverso le azioni di Air Policing e di Enhanced Vigilance Activity per garantire l’integrità dello spazio aereo dei membri dell’Alleanza. La base operativa è quella dell’aeronautica militare romena di Mihail Kogălniceanu. Ma le limitazioni di Montreux impongono che la difesa navale delle acque eusine rimanga a discrezione degli stati rivieraschi del Mar Nero facenti parte dell’Alleanza, data anche la postura ambigua del membro NATO più potente di quel quadrante, la Turchia.
Stante lo scenario venutosi a creare a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, sia Bucarest che Sofia potrebbero dover rivedere sensibilmente la loro politica di riarmo navale, volenti o nolenti.

Ho letto con interesse il tuo articolo sul ruolo della Romania nel Mar Nero. È una prospettiva molto interessante e sono d’accordo sul fatto che la Romania debba considerare seriamente il potenziamento della sua flotta navale per proteggere i propri interessi strategici ed economici nella regione. Spero che la Romania possa trovare soluzioni creative per superare le limitazioni imposte dalla Convenzione di Montreux e collaborare strettamente con gli alleati della NATO.