LA CASA DEL SOCIAL JOURNALISM

Le guerre non sono tutte uguali. E neppure i profughi

Marco Laccone

Si è dibattuto in tempi recenti sulla differenza, operata dai governi ma difficile da comprendere per le persone, tra i profughi che fuggono dalla guerra in Ucraina e che vengono accolti in Italia o in altri Paesi, e coloro che sfidano la morte per fuggire dalle guerre senza fine in Africa (tra l’altro, portate avanti con armi anche italiane) e dai “lager in Libia” (la definizione è di Papa Francesco), che invece non ricevono un’accoglienza tanto “bonaria” sul nostro territorio.

Naturalmente, questa è una visione semplicistica e incompleta in termini giuridici e politici. Tuttavia, dal punto di vista umano, potremmo dire “etico”, i vari rimpalli tra governi europei (“questi li prendi tu, questi sono assai per me, questi non mi piacciono” ecc.) fanno parte di un problema successivo a quello della solidarietà umana, a cui nessuna risoluzione freddamente “politica” può apparentemente soprassedere. Che poi il Paese di approdo non sia attrezzato con un sistema di strutture adeguato al numero di arrivi e in grado di rallentare, filtrare e integrare nel tessuto sociale i migranti, è altro discorso.

L’attenzione dei media è monopolizzata dalla guerra in Ucraina a tal punto da far quasi pensare che il mondo sarebbe molto più tranquillo se non ci fosse questo conflitto. In realtà il pericolo c’è, eccome, perché coinvolge la Russia, uno dei nove Stati dotati di armi nucleari.

Senza considerare gli altri teatri di guerra sparsi per il pianeta, dove si combatte con “armi convenzionali”. Il sito Guerre nel Mondo ne ha censito circa 70. Sono i cosiddetti “conflitti invisibili”, alimentati da quasi 900 gruppi riconosciuti di milizie, guerriglieri e frange terroristiche, separatiste, anarchiche.

In Africa risultano coinvolti 31 Stati su 54, con 294 gruppi armati. In Asia, escludendo il Medio Oriente, 16 Stati su 31, con 201 gruppi di miliziani e guerriglieri. Anche nella nostra Europa sono 9 gli Stati (su 50) dove si combatte. In Medio Oriente si contano 7 Stati su 15; nelle Americhe 7 Stati su 35 sono coinvolti in guerre contro circa 35 gruppi armati.

Che atteggiamento assumere di fronte a questa inquietante realtà? Nelle nostre scuole si cerca di trasmettere (e applicare) la regola che chi assiste a una violenza, a un’ingiustizia, a un atto vandalico e rimane impassibile o in silenzio, è comunque colpevole perché, con la propria indifferenza e la propria acquiescenza, non solo non ostacola in alcun modo il compimento dell’azione malvagia ma in più, facendosi dominare dalla paura, la diffonde come “esempio vincente” nel contesto in cui vive.

Negli Stati a sovranità popolare come il nostro, è la collettività che può incentivare la “cultura della pace”, premiando col proprio consenso le politiche dirette alla risoluzione dei conflitti e gli incentivi verso forme di sviluppo culturale ed economico che rendano più “autonomi” e inclini al dialogo (anche al loro interno) i Paesi in via di sviluppo.

Ritornando ai profughi, la questione si pone essenzialmente sul piano della differenziazione dei criteri utilizzati per l’accoglienza: se si riconosce la preminenza del “fattore umano”, questo porta all’aiuto in ogni caso; viceversa, se si calcolano in primis le esigenze di sicurezza e di capacità di gestione dei flussi, si  giustifica la disparità di trattamento dei profughi europei rispetto a quelli africani, lasciando però aperte altre questioni “etiche” di non secondaria rilevanza. 

Come si può intuire, alla base ci sono scelte di indirizzo politico che però rischiano di condizionare non solo la capacità di “produrre benessere”, ma anche la capacità di dialogo culturale, e quindi di sviluppo, tra i popoli. Si tratta, perciò, di riconsiderare gli equilibri che stanno alla base delle strutture economiche (e dei poteri che su di esse si sono formati); un’operazione che appare difficile, viste le implicazioni di natura “politica” che ne derivano. D’altro canto, però, la situazione generale del pianeta e le insidie delle grandi disparità sociali e culturali richiedono sempre più visioni lungimiranti e scelte coraggiose.

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Marco Laccone

Marco Laccone

Musicista cantautore, autore, docente ed editore. Ho pubblicato album musicali, opere di teatro musicale e per balletto, un libro+cd ispirato alla Buona Novella di De André e un saggio sulla comunicazione musicale per l'Ass. Naz. Sociologi. Conduco programmi musicali su radio/tv web. Ho seguito studi in Letteratura Arte Musica e Spettacolo, Jazz, Giurisprudenza, masterclass in Musicoterapia Psicodinamica. Suono e insegno chitarra.

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Elena Fusca
Elena Fusca
8 mesi fa

Spero tanto che al più presto i nostri politici o chi per loro,facciano o prendano,delle scelte coraggiose grazie a questo articolo lungimirante molto esaustivo.Grazie maestro per la sua poliedricità!!! 🙏👼🌈☮️🌲💫

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