LA CASA DEL SOCIAL JOURNALISM

Lanzichenecchi e decerebrati: loro o noi?

Pascal La Delfa

Tra le colorite allegorie di Alain Elkann e le sfortunate metafore di Concita De Gregorio, si rischia di fissare a lungo il dito e perdere di vista la luna: il problema è il comportamento dei giovani o l’assenza degli adulti?

Molte personalità non solo della politica, ma anche della cultura, del mondo accademico, del mondo psico-sociologico e persino dell’area giuridica, intervengono spesso nel dibattito relativo ai “giovani” e alla “comunità educante”.

Ma siamo sicuri di cosa stiamo (stanno) parlando, oppure l’idea del giovane di oggi è stigmatizzata a un mero e anacronistico ricordo della propria giovinezza?

Ad esempio, forse vi stupirebbe sapere che a oggi nove giovani su dieci non sono mai stati in un teatro e che quasi uno su due non ha un libro adatto alla propria età a casa. Si, non è un refuso, ma il risultato di una analisi della Fondazione Albero della Vita onlus realizzata con la supervisione dell’Università di Palermo, presentata in anteprima lo scorso maggio e che promette approfondimenti e specifiche a settembre. Lo studio è stato effettuato nelle periferie più disagiate di sei città italiane, dal nord al sud (Milano, Perugia, Genova, Napoli, Catanzaro, Palermo) e certamente il fatto che sia stato realizzato in quartieri “difficili” avrà influito sui risultati che letteralmente sgomentano, ma che danno una chiara idea di dove stiamo lasciando i nostri giovani: in balia degli smartphone e senza supporto emotivo. E non stiamo facendo gli avversatori del Metaverso, ma parliamo di dati ben concreti. Infatti, al peggiorare delle condizioni di povertà peggiorano anche le condizioni emotive e relazionali: in alcuni casi si tocca il picco del 91% di giovani che non riescono a gestire la rabbia perché non hanno competenze e supporto adeguati, a scuola e/o in famiglia.  Ecco che si può facilmente spiegare perché poi ci si ritrova a urlare in qualche modo il proprio malessere: nascondendosi dentro cappellini e cappucci, dietro auricolari e tatuandosi vistosamente (per citare Elkann) o semplicemente distruggendo un’opera d’arte e immortalando il gesto in un selfie (per citare la De Gregorio). Per non parlare del cadere da un grattacielo per una challenge o di mettersi ebbri alla guida di un Suv e uccidere qualcuno.

Scienza o incoscienza?

Attenzione a non biasimare il fenomeno concentrandosi sull’indigenza relativamente ai dati della ricerca appena citata. La povertà economica è madre della povertà educativa, ma i genitori sono tanti, come in una contemporanea famiglia allargata: e ciascuno ha una serie di responsabilità. Bisogna metterne insieme un po’ per avere idea del disastro che stiamo vivendo.

Stiamo parlando di violenze, di abusi di droghe e alcol, di suicidi. Purtroppo, non credo basti togliere le chiavi di casa o non dare più la paghetta per risolvere la situazione, perché “la situazione” è ben oltre le percezioni e i casi da vetrina mediatica: è completamente sfuggita di mano e sembra che nessuno voglia accorgersene (o abbia la capacità di intervenire o fare un’analisi profonda e comprensibile). Siamo ben oltre la soglia di allarme del tipo “vietate i cellulari prima dei 14 anni”, nonostante i pericoli ben chiari, non (solo) per la salute fisica, ma per quella psicologica: ormai 1,2 milioni di bambini tra i 3 (tre!) e gli 8 anni sono costantemente online e c’è ben poco da fare per tornare indietro, nonostante i consigli urlati a squarciagola dai professionisti del settore, come lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai. Provate a vietare lo smartphone agli adolescenti: cosa potrebbe accadere, e come reagirebbero soprattutto? Cosa offre il mondo degli adulti in alternativa a questo allettante tesoro in un palmo di mano?

Narcinstagram

Proviamo a guardare i 40-45enni di oggi, cioè i genitori di quei ragazzi che violentano le statue e urlano il proprio disagio esplodendo o implodendo in maniera incontrollata, guidando un Suv all’impazzata o torturando il proprio corpo con abusi alimentari. Il noto psichiatra, sociologo e scrittore Paolo Crepet, definisce questi genitori “eterni adolescenti”, quei forever young che sono i primi a fare la gara di selfie da mettere sui social e a cercare scatti da “instagrammare”, ma che non sono in grado di prendersi delle vere responsabilità (e quindi, aggiungiamo, figuriamoci ad essere d’esempio alle nuove generazioni). Un altro luminare, Jan Derksen, dice che siamo diventati (genitori e figli) irrimediabilmente narcisisti.

Forse qualche lettore a questo punto si sentirà punto sul vivo e penserà che stiamo esagerando e la cosa non lo tocchi direttamente.

Purtroppo, no. Stiamo parlando dell’adultescenza digitale, già ben raccontata dieci anni fa dal prof. Tonino Cantelmi (uno dei maggiori luminari sull’argomento): Secondo quanto dichiarato dagli stessi figli, oggi sono proprio i genitori a non riuscire più a staccarsi dallo smartphone, sono sempre i genitori a ricevere milioni di messaggi, immagini, scattarsi e pubblicare foto, ad utilizzare gli smartphone anche a tavola e durante i pasti. Se prima erano i genitori a dire ai figli di non accettare  caramelle dagli sconosciuti, adesso sono i figli a raccomandare ai genitori di non “cliccare su quel link, perché è una truffa” o di non “credere a quella notizia, perché è un fake”. Se prima erano i genitori a dire ai figli di non utilizzare i cellulari a tavola, adesso sono i figli a implorare di essere ascoltati, di comunicare di persona e evitare lo scroll continuo, mediatico e fisico.

Permette questo sballo?

Prendete fiato. Il peggio deve ancora arrivare. E vogliamo parlare con i numeri alla mano, per dare un’idea concreta di quello che sta realmente accadendo, e non pensare che siano “ragazzate” di passaggio della serie “siamo stati tutti ragazzi e abbiamo fatto noi le stesse cose”. Non proprio, non con questi dati.

La relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia (presentata in Parlamento poche settimane fa), dice che l’incremento dell’uso di stupefacenti nella fascia giovanile (15-19 anni) rispetto ai dati riferiti al 2021 è un aumento dei consumi dal 18,7% al 27,9%. Quindi non c’entra l’isolamento da pandemia. O perlomeno, né è una (ineluttabile?) onda lunga. Da segnalare in particolare la persistenza di una alta prevalenza di uso di cannabinoidi sintetici e delle sostanze psicoattive, che nel loro complesso rappresentano circa il 10% dei consumi. Sostanze, queste di “nuova generazione”, che hanno come fonte principale di acquisto il mercato del web. Non più, non solo, il pusher dei giardinetti o il tossico della stazione (come i media ancora ci raccontano, quando ci provano). Ulteriore dato che colpisce è l’uso di psicofarmaci, riportato nella fascia 15-19 anni al 10,8% (nel 2021 era di 6,6%). Quindi un ragazzo su dieci fa uso di psicofarmaci, oltre uno su quattro usa altre sostanze stupefacenti. E questi sono i dati “ufficiali”, quindi probabilmente per difetto.

Breaking Bad

Adesso fate un esperimento: chiedete a un qualsiasi over 45 (un genitore potenziale o effettivo, dunque) di nominare un film che parli di droga. Probabilmente citeranno “Trainspotting” o addirittura “I ragazzi dello zoo di Berlino”. Film che hanno rispettivamente oltre 25 e oltre 40 anni. Il mondo delle sostanze stupefacenti è profondamente cambiato. E gli adulti non ne sanno quasi niente, perché la loro idea sulle sostanze (tipologia, modalità di acquisto, modo per nasconderne gli effetti all’esterno…) è ferma a 40 o 25 anni fa. Adesso prendete quello stesso rapporto sullo stato delle tossicodipendenze appena citato: scoprirete, probabilmente trasalendo, che all’analisi qualitativa dell’hashish è emersa una importante variabilità del quantitativo di principio attivo che, dal 2018, è passato da una concentrazione media del 17% al 29%. Superiore a quello che 4 anni fa la UE avvertiva (dal 5 al 10%). Un adulto di oggi, anche se misurato e non impegnato in “selfie&scrolling”, potrebbe forse pensare che “la canna” di un proprio ragazzo sia l’equivalente dello “spinello” da figlio dei fiori anni Settanta. E invece è una sostanza dieci volte più potente. Dieci volte. E stiamo citando solo le droghe “leggere”. Figuratevi il resto.

Non vogliamo aprire un dibattito sulle sostanze stupefacenti (o sull’alcol e gli psicofarmaci, sempre più strettamente connessi tra loro nell’uso giovanile) o sull’idea di “legalizzare” o meno. Se però parliamo di alcol, forse è interessante sapere che quasi due milioni di giovani (15-19 anni) lo usano abitualmente e di questi il 33% (un terzo!) ha avuto almeno una intossicazione alcolica durante l’ultimo anno. E se tra le sostanze stupefacenti prevale l’uso da parte dei maschi, la grande “novità” sta nel sorpasso di genere per quanto riguarda l’alcol: nel 2022 sono state soprattutto le giovani ragazze sia a utilizzare più alcolici sia a essersi ubriacate rispetto ai maschietti. Dallo stesso rapporto: nel 2022, la metà dei giovani tra i 15 e 19 anni ha avuto a che fare con il gioco d’azzardo. Forse qualcuno dovrebbe mettere in correlazione (e in preallarme) il fatto che l’Italia sia il primo paese al mondo per volumi di gioco d’azzardo e spesa pro capite. Bel primato, eh?

Gioventù bruciante

Torniamo al punto principale: gli adulti sanno di che gioventù stiamo parlando, o pensano di averne un’idea “romantica” che non corrisponde affatto alla realtà?

Ancora dei dati, agghiaccianti: purtroppo la prima causa di morte tra i giovani è quella relativa agli incidenti stradali. Principali fattori di rischio: scarsa esperienza alla guida, sopravvalutazione di sé stessi, ridotta percezione del pericolo, stato di ebbrezza o effetto di droghe. Dati casuali, rispetto a quanto scritto sopra? E, attenzione, la seconda causa di morte, è il suicidio. Certamente la pandemia ha avuto un effetto devastante nell’amplificare questi dati: dal 2021 c’è stato un incremento di tentati sucidi del 75%. Ogni giorno in Italia un adolescente, o pre-adolescente, cerca di togliersi la vita. Posti letto dei reparti di neuropsichiatria infantile più che saturi. Ospedali costretti a mettere le sbarre alle finestre per evitare gesti inconsulti in reparto.  Anche Papa Francesco in questi giorni ha parlato del fenomeno provando a portarlo al centro dell’attenzione, tra ombrelloni e notizie d’agosto.

L’ansia sociale e la paura di essere esclusi, ha poi rilanciato gli hikikomori e la fomo : e se i termini vi suonano nuovi, fate un giro sul sito della Fondazione Veronesi , dell’ IRCSS-Ospedale San Raffaele o semplicemente spaziando sul web.

I problemi legati all’alimentazione, poi, sono terribilmente inquietanti: nella patria del buon cibo, sono 3,6 milioni gli italiani che hanno malattie legate all’alimentazione e ben il 20% sono under 14, secondo le ultime stime. Ci si ammala già dagli 8 anni e alcune analisi parlano di nove morti al giorno: una strage silente e richieste d’aiuto raddoppiate dal 2022 al 2023, con i dati finora raccolti.

All’ultimo grido

Rabbia o disperazione? I giovani sono solo “incompresi” o sono (anche) vittime della povertà economica, oltre che di quella educativa, per tornare all’inizio di questo articolo?

Un ultimo dato: la microcriminalità giovanile è incredibilmente cresciuta dal 2019 ad oggi. Omicidi: + 35,3 per cento (23). Tentati omicidi: +65,1 per cento (71). Percosse: + 50 per cento (585). Rapine: + 75,3 per cento (2.968). Le rapine per strada segnano addirittura un incremento del 91,2 per cento. E, rispetto al 2019, i minorenni denunciati e arrestati sono 28.881. Il 14,3 per cento in più. Possiamo derubricarlo a “lanzichenecchi decerebrati” o serve una analisi più approfondita e un’azione più che immediata?

Insomma, “l’universo giovani” è molto complesso e, alla luce di questi dati, ampiamente sottovalutato, inascoltato.

Perceived credibility

Parolacce inglesi, che riassumono però il mondo degli influencer, che non è solo un mondo per vendere, ma un modo di vivere. La famigerata “comunità educante” deve riunirsi, e in fretta: genitori e educatori, esperti e istituzioni, adulti e giovani. Parlare, comprendere, progettare, agire.  E che non sia una azione dall’alto: si, ci sono esperti e luminari che conoscono il mondo giovanile, ma la rivoluzione digitale è stata ed è troppo repentina: non si possono catalogare i giovani con criteri di soli 10- 12 anni fa: sono anacronistici! Siamo già alla fine della Generazione Alfa e non possiamo avere idea di come sarà la Generazione Beta, o come si chiamerà per i nati in questa nuova decade del 2020. Che si ascoltino i giovani, e si trovi un loro linguaggio per farlo, a costo di costringere i luminari a usare TikTok e Reddit. Stiamo parlando del presente che è già futuro, e viceversa. Nel film “The social network” (una pellicola che ha già più di dieci anni, incentrato sui fondatori di Facebook), una frase risuona inquietante: “se non stai acquistando nessun prodotto, sei tu il prodotto“. Ci si faccia dunque aiutare anche dalle conoscenze e dagli strumenti che provengono dall’ambiente “non formale”, sia tra gli esperti digitali che tra quelli artistici: dalla metà degli anni Novanta, la crescente attività scientifica sull’impatto della cultura e delle arti sulla salute e sul benessere dei giovani ha dato vita a un patrimonio di conoscenze consistente.

Non so se andare a teatro, fare sport, dare spazio ai murales e alla musica, possa essere una soluzione, se non per intervenire almeno per provare a comprendere. Sicuramente è una possibilità. Un modo per guardarsi negli occhi e non in uno schermo. Per sentire, oltre che ascoltare.

Promuoviamo collaborazione anziché competizione. Diversità anziché omologazione. Errori anziché perfezione. Offriamo alternative.

O è già troppo tardi?

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Pascal La Delfa

Pascal La Delfa

Autore, regista e formatore, si occupa di attività artistiche e teatrali, anche in contesti di disagio e fragilità e in progetti europei. È stato autore anche per la Rai e formatore e regista per aziende internazionali. Collaboratore esterno per alcune università italiane, è direttore artistico dell’associazione Oltre le Parole onlus di Roma. Fondatore del “premio Giulietta Masina per l’Arte e il Sociale”. Di recente uscita un suo saggio sul Teatro nel Sociale.

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Alessia
Alessia
1 mese fa

Ottima analisi.
Speriamo di riuscire ad essere genitori migliori di queste statistiche, e di ribaltarle quanto prima

Luigina Rossi
Luigina Rossi
1 mese fa

Di- sperata e lucida analisi, doveroso e toccante approfondinento. Ma a chi rivolgere appello ? Micro -azioni concrete, in quelle si può tentare. Nelle macro, noi ( maggioranze decerebrate) nascondiamo la testa sotto la sabbia.

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