La piccola Repubblica, retaggio del passato sovietico, è tornata alla ribalta con lo scoppio delle ostilità in Ucraina
Incastonata tra la Moldavia e l’Ucraina giace una fettuccia di terra di appena 200 chilometri, dove vige un regime filorusso non riconosciuto a livello internazionale, quello della Transnistria o, come da nomenclatura ufficiale, Repubblica Moldava della Transnistria.
Spesse volte appellata con epiteti come “paese che non esiste” o “paese fantasma” questa piccola enclave indipendente de facto è salita agli onori della cronaca durante le prime fasi della Guerra in Ucraina nel 2022.
Internazionalmente viene riconosciuta come territorio separatista facente parte della Repubblica di Moldavia, che però non ha alcun controllo sulla popolazione residente, in maggioranza russofona e russofila. Le uniche entità a riconoscerne l’indipendenza sono i due satelliti moscoviti di Abcasia e Ossezia del Sud più l’exclave armeno Artsakh – Nagorno Karabakh. Quest’ultima, dopo i recenti fatti che hanno visto l’espulsione della diaspora armena e la presa definitiva del potere da parte di Baku sul territorio, smetterà verosimilmente di riconoscere la Transnistria come entità statale indipendente.
La Transnistria dall’epoca sovietica all’indipendenza
Facente parte della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Moldavia fino al 1940 e della Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia poi, la Transnistria subì un forte processo di russificazione con l’introduzione del cirillico e della lingua russa per le comunicazioni ufficiali.
Mosca, nella gestione della RSS di Moldavia si prodigò per industrializzare soprattutto la riva sinistra del fiume Dnestr (da cui trae il suo nome la Transnistria), relegando il resto della repubblica socialista a un ruolo prettamente agricolo. L’Armata Rossa costruì sul territorio transnistriano anche il più grande deposito di munizioni d’Europa durante la Guerra Fredda. Lo stesso sarà oggetto di interesse da parte degli ucraini durante le prime fasi dell’Operazione Militare Speciale del 2022.
Le spinte centrifughe catalizzate dalle politiche liberaliste di Gorbačëv favorirono in Moldavia l’abbandono progressivo della lingua russa e una generale de-russificazione del paese. Le politiche nazionaliste moldave furono mal viste in Transnistria che, a seguito di un referendum popolare, dichiarò unilateralmente la secessione dalla RSS di Moldavia, autoproclamandosi indipendente. Il 24 agosto 1991 la Moldavia si dichiarava indipendente adottando una Costituzione che prevedeva come parte integrante del proprio territorio anche la Repubblica secessionista. L’implosione dell’Unione Sovietica nel dicembre del 1991 avrebbe rimosso l’ultimo ostacolo a un regolamento di conti interno tra moldavi e transnistriani.
Il conflitto moldavo-transnistriano e l’ombra della Russia
Approfittando dell’implosione dell’Urss, la Moldavia attaccava la piccola repubblica nel marzo del 1992.
Tuttavia le forze transnistriane, appoggiate dalla quattordicesima armata russa, di stanza sulla riva sinistra del fiume Dnestr già dai tempi sovietici, soverchiavano agevolmente gli aggressori.
L’esito delle ostilità riportava la situazione territoriale all’anteguerra con un cessate il fuoco siglato tra le parti 21 luglio 1992 sotto l’egida della Russia di Boris Yeltsin. Una Commissione di Controllo Congiunto trilaterale avrebbe previsto lo stazionamento in Transnistria di un contingente di peacekeeper russi, moldavi e autoctoni.
A cavallo tra gli anni Novanta e il primo decennio del XXI secolo timidi tentativi di disgelo tra Chisinau e Tiraspol (capitale della piccola repubblica) furono tentati anche sotto la mediazione dell’OSCE. La rinnovata aggressività russa, catalizzata dall’atteggiamento putiniano nei confronti del suo estero vicino, avrebbe tuttavia rinfiammato la questione moldavo-transnistriana.
L’annessione unilaterale della penisola di Crimea nel 2014 da parte di Mosca fece da propulsore alla causa transnistriana. Molte figure politiche della repubblica separatista, incluso l’allora Presidente del Parlamento Mikhail Burla chiesero l’annessione della Transnistria alla Russia. Tuttavia, all’epoca Mosca preferì disattendere le richieste pervenute da Tiraspol.
Il motivo era duplice: l’annessione avrebbe potuto fungere da catalizzatore alla temuta unificazione tra Romania e Moldavia; inoltre, il territorio transnistriano, lontano e sconnesso geograficamente da Mosca, sarebbe stato difficile da gestire, specialmente dopo il progressivo degradamento delle relazioni con Kiev.
La guerra in Ucraina e il rinnovato interesse per la Transnistria
Con l’avvio dell’Operazione Militare Speciale in Ucraina, la repubblica separatista transnistriana ha riacquisito interesse geopolitico. Archiviata la possibilità per Mosca di assoggettare l’intero territorio ucraino dopo le prime fasi del conflitto, la strategia è stata deviata nell’interdire a Kiev l’accesso al mare.
Nei piani del Cremlino la direttrice che dal Donbass congiungeva territorialmente la Russia alla Crimea sarebbe dovuta proseguire fino a una totale negazione dell’accesso al Mar Nero a Kiev, comprendente lo snodo portuale di Odessa con l’omonimo Oblast[1] (oltre a quello di Mykolaïv).
Verosimilmente se la regione di Odessa fosse caduta, Mosca ne avrebbe approfittato annettendo anche la Transnistria, magari coinvolgendo il contingente russo presente in loco nello sforzo bellico, con la scusante della protezione della popolazione in larga parte russofona residente nella repubblica separatista.
Anche l’Ucraina, in costante carenza di munizionamento, è arrivata a ventilare l’ipotesi di un assalto al deposito di Cobasna, idea poi tramontata per il progressivo rifornimento di armamenti di origine occidentale e conseguente rimodellamento degli standard militari ucraini su modello NATO.
Tramontata (attualmente) l’ipotesi di un’annessione della Transnistria alla Russia, Mosca potrebbe comunque sfruttare la posizione strategica di questa lingua di territorio.
Cavalcando l’indipendentismo transnistriano – il paese gode di molti requisiti di uno Stato indipendente, tra cui passaporto e valuta propria – Mosca può usare la piccola Repubblica come agente di disgregazione regionale.
La Transnistria, che oggi sopravvive grazie ai finanziamenti russi, potrebbe fungere da polo d’instabilità in un’area ad alta volatilità, vicino al confine NATO. La strategia russa nei Balcani d’altronde è ormai contraddistinta da azioni di disturbo, che favoriscono l’instabilità della regione. Plastica manifestazione in tal senso è il caso della strumentalizzazione della causa indipendentista serbo-bosniaca.
Ancora, in caso di futura recrudescenza del conflitto ucraino, la Transnistria potrebbe essere usata come testa di ponte per puntare su Odessa, negando a Kiev lo sbocco sul Mar Nero, regalando a Mosca il principale porto Eusino.
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[1] Suddivisione territoriale tipico delle ex repubbliche sovietiche, equivalente a una regione.