L’ondata di maltempo che da martedì sta colpendo l’Emilia-Romagna mette in evidenza per l’ennesima volta il problema dei cambiamenti climatici.
Nel giro di pochi giorni siamo passati dalla siccità all’alluvione. Almeno 500 persone sono state evacuate e accolte in palazzetti dello sport, palestre e altre strutture di pronto soccorso. Altre 5.000 sono a rischio evacuazione. Tutto questo sta accadendo in Emilia-Romagna, non in una regione del sud che siamo soliti considerare gestita male da parte della pubblica amministrazione.
Ma se i fiumi tracimano, se le abitazioni vengono allagate e rimangono senza luce e senza acqua, se le città vengono bloccate, se ci sono dei morti a seguito di questi eventi atmosferici, possiamo semplicemente dare la colpa ai cambiamenti climatici o dobbiamo tenere in considerazione la mancata programmazione o l’incuria da parte dell’uomo?
Che negli ultimi 50 anni il territorio sia stato violentato non c’è dubbio
Abbiamo sentito al telefono il nostro esperto di agricoltura Iader Brandolieri che ci invita a osservare come sia cambiato il panorama dei territori agricoli negli ultimi decenni: «Abbiamo creato distese pianeggianti di terreni destinati a una agricoltura convenzionale che deve produrre sempre di più; abbiamo tolto dai campi gli alberi e le siepi creando distese immense che si prestano con facilità a subire gli eventi atmosferici senza alcun baluardo, senza alcuna protezione. L’acqua, soprattutto se cade in misura elevata in un tempo limitato, provoca danni pesantissimi». Ma nell’epoca in cui lo sviluppo tecnologico è sempre più veloce, nell’epoca in cui abbiamo un utilizzo dell’intelligenza artificiale arrivata al punto da spaventare addirittura chi l’ha progettata, è possibile che non siamo in grado di prevedere gli eventi atmosferici e soprattutto di fare una programmazione politica a livello territoriale per la tutela dei territori medesimi?
Se guardassimo dall’alto con un drone la pianura padana noteremmo immense distese pianeggianti senza limiti di nessun tipo, terreni destinati a una coltivazione convenzionale che prevede uno sfruttamento assoluto del terreno. Vedremmo delle macchie di colore giallastro che occupano gran parte dei terreni, macchie che denotano lo sfruttamento intensivo e l’utilizzo, altrettanto intensivo, di concimi chimici, riflette il nostro amico Brandolieri.
Evitare i danni causati dagli eventi atmosferici oggi sarebbe possibile creando dei moduli vegetativi a intervalli regolari, impedendo l’abbandono delle zone montane, facendo le opportune attività di manutenzione nei territori. È altrettanto possibile ridurre i danni dovuti alla siccità anche attraverso la creazione di nuovi invasi, la gestione di quelli esistenti, la riduzione degli sprechi.
Circa un quarto dell’acqua che scorre negli acquedotti nazionali viene dispersa.
Il problema è il riscaldamento globale?
Certamente stiamo assistendo a dei cambiamenti climatici, ma la storia è piena di periodi alterni, ora però è doveroso sviluppare una politica che incrementi la biodiversità, che persegua la sostenibilità ambientale, la resilienza degli ecosistemi.
È necessario mettere in sicurezza i centri abitati, le infrastrutture, le coste, mettere in piedi sistemi di monitoraggio e prevenzione.
È improrogabile dedicare maggiore attenzione all’agricoltura, alla gestione dei canali di scolo, rallentare l’abbandono di intere aree agricole.
Qui non si tratta di dare la colpa a chi governa per dei danni causati dall’alluvione qui si tratta di prendere consapevolezza che chiunque abbia governato negli ultimi decenni poco si è preoccupato della gestione idraulica dei territori.
E allora perché visto che si sta discutendo di modifiche al reddito di cittadinanza non pensiamo a creare un reddito di contadinanza destinato a chi dedichi il proprio tempo a una agricoltura sostenibile, attenta all’ambiente, permettendo così di impedire lo spopolamento delle montagne e una rivalutazione delle aree agricole?